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«L’informazione è come l’aria che respiriamo»

Il nuovo presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Stefano Tallia spiega il suo modo di intendere la professione che presuppone, tra le altre cose, il saper scegliere gli interlocutori

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“Non amo chi non ha mai pedalato in salita e controvento. In un giorno di pioggia, naturalmente”, scrive Stefano Tallia nella sua presentazione su Twitter. Ora che è alla guida dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte di certo si moltiplicheranno le occasioni per pedalare in salita e controvento. Di questo e di altro abbiamo parlato direttamente con il Presidente Tallia.

Come si trova in questa nuova veste?
«Sono stato segretario del sindacato piemontese dei giornalisti per dieci anni, quindi l’impegno non mi è del tutto nuovo, anche se chiaramente presiedere l’Ordine implica degli adempimenti diversi. È presto per dire come mi trovo perché sono entrato in carica solo il 15 novembre scorso, ma so per certo che per me il compito dell’Ordine è stimolare la riflessione tra i colleghi, più che assumere un atteggiamento sanzionatorio. Ragionare sulla delicatezza della nostra professione, sull’impatto sociale che può avere credo sia la prima cosa da fare per qualunque giornalista, a prescindere dalla testata per cui lavora».

In effetti l’Ordine è il riferimento per realtà giornalistiche e figure anche molto diverse tra loro…
«La legge distingue tra persone che svolgono l’attività giornalistica a tempo pieno e quelle che non la svolgono a tempo pieno, come i pubblicisti. Ma io penso che le necessità a cui si deve rispondere siano le medesime. Nel momento in cui si scrive su un giornale o si realizza un servizio televisivo, è corretto che ci si riferisca alla stessa deontologia perché la responsabilità è la medesima, cambia solo il bacino di riferimento. Quindi penso sia giusto che l’Ordine tenga sotto lo stesso tetto persone che hanno questa responsabilità, anche se in forme diverse. C’è poi da dire che non va assolutamente sottovalutato il ruo­lo della stampa locale che, specie in una realtà come quella piemontese, è fondamentale; lo dico anche alla luce dell’esperienza fatta nel sindacato. Le realtà locali, sia cartacee che digitali, rappresentano la voce di territori in cui sono di gran lunga più importanti delle testate più celebrate. Tutti devono avere dunque i medesimi onori e i medesimi oneri».

A proposito di oneri, la Presidenza dell’Ordine deve essere un bell’impegno, specie perché affiancata al suo lavoro di giornalista Rai, che non ha abbandonato…

«È vero, ma per comprenderne il motivo credo serva ritornare alle ragioni per cui, ormai diversi decenni fa, ho scelto questa professione. Sono laureato in Storia e Geografia e avrei potuto intraprendere la via dell’insegnamento, magari la carriera accademica, ma scelsi il giornalismo come forma di impegno sociale e civile. Mi sembrava il percorso migliore per proseguire le attività sociali degli anni della mia giovinezza, lo strumento migliore per coniugare i miei talenti con questa forma di impegno. Sono sempre stato attivo nel sindacato della categoria e ora come Presidente dell’Ordine piemontese senza mai rinunciare a svolgere la professione perché penso che una persona che ricopre questo ruolo debba sempre avere ben presente quel che accade all’interno delle redazioni. Uno dei miei obiettivi è quello di avvicinare ulteriormente l’Ordine ai colleghi, in modo che non lo percepiscano come il luogo in cui pagano la quota annuale, ma un tetto sotto il quale sentirsi protetti».

Ha ben evidenziato la responsabilità sociale di chi fa questo mestiere. Come valuta il racconto che il giornalismo italiano sta facendo di questi anni e in particolar modo della pandemia?
«Prima della pandemia abbiamo vissuto tempi strani, in cui pareva che chiunque potesse fare il giornalista. Ferma restando l’intangibilità dell’articolo 21 della Costituzione, che è e resta una pietra miliare della nostra democrazia, penso che questi ultimi anni abbiano invece dimostrato che è fondamentale un’informazione professionale. Le fake news si contrastano solo con un’informazione professionale e qualificata, è l’unica strada. Abbiamo messo ulteriormente a fuoco quanto sia fondamentale anche per la tenuta democratica di un sistema, perché le armi di oggi non sono i cannoni, ma quelle che viaggiano in maniera invisibile nelle reti e rischiano di avvelenare il dibattito democratico. In un contesto del genere il ruolo dell’informazione come baluardo democratico diventa ancora più evidente. L’informazione è come l’aria che respiriamo: se è buona stiamo bene, se viene inquinata, anche se in maniera invisibile, ci ammaliamo e tutta la società si avvelena. Se c’è una cosa che la pandemia ci ha fatto comprendere è il ruolo fondamentale dell’informazione e che questa può essere dispensata solo da persone che hanno i titoli per farlo».

Non pensa che sia spesso mancata questa consapevolezza?
«Nel nostro paese il dibattito tende spesso al derby, anche su materie improprie come la scienza. A maggior ragione in questo campo è invece imprescindibile far parlare le persone che ne hanno competenza. Io so­no laureato in Storia e potrei avventurarmi in un’analisi storica e magari un raffronto su come stiamo affrontando questa pandemia rispetto a come sono state affrontate le precedenti, posso reperire e analizzare documenti, supportare la mia trattazione, ma non ho alcuna competenza per esprimermi, per esempio, sull’efficacia dei vac­cini. Al tg scientifico Leo­nardo della Rai, in cui ho lavorato per dieci anni, il mio approccio è sempre stato quello di cercare interlocutori preparati e competenti che potessero spiegare, in primo luogo a me. Questo fa la buona informazione: sa scegliere gli interlocutori».

BaNNER
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