A cura della nutrizionista dott.ssa Gigliola Braga
La versatilità di Bra, Raschera e Toma Piemontese è tale che, anche quando vengono confrontati con i cibi della tradizione toscana medievale e rinascimentale, garantiscono risultati eccellenti. I cuochi dell’Alta Etruria, forti di una cultura gastronomica secolare, si sono cimentati con i grandi formaggi piemontesi e hanno elaborato piatti interessanti e curiosi, in cui la tipicità casearia locale si sposa alla perfezione con le materie prime del centro Italia.
Per poter comprendere le caratteristiche della cucina medievale, dobbiamo esaminare il percorso che gli alimenti hanno compiuto e come si è modificato il concetto di pasto negli anni. Le tavole all’epoca di Dante, anche quelle più ricche, si mostravano povere di ingredienti in confronto alle odierne.
Di certo i Quochi (non è un errore, si scriveva così) si adoperavano per fornire un servizio che oggi definiremmo variato e di alto livello. Ma è altrettanto certo che non potevano utilizzare patate, pomodori, zucchero (se non di canna) cioccolato, lievito istantaneo, lievito di birra, vino (come lo conosciamo oggi) oltre, naturalmente, a forni a gas o elettrici, frigoriferi, congelatori, casseruole o piccola attrezzatura di alluminio o acciaio.
Va inoltre considerato che il riferimento al Medioevo riverbera un periodo di circa mille anni e anche la suddivisione in alto e basso appare limitata, se non inadeguata. Alla caduta dell’Impero romano si realizza un cambiamento strutturale nella visione del mondo, anche quello ricco, passando dalla diacronia tra rigidità delle istituzioni e permessivismo religioso, dal pranzo frugale e cena luculliana alla pervasiva cultura “barbara” della carne, concomitante con la frammentazione dei territori e il successivo riposizionamento del potere ecclesiastico. Se volessimo azzardare una sintesi dell’evoluzione culturale e gastronomica medievale, potremmo dire che in quel periodo si è passati da “l’uomo è su questa terra per espiare” (che escludeva il piacere dalla vita dell’uomo. Tra i piaceri esclusi per la salvezza dell’anima, vi era la tavola e tutto ciò che ad essa è riferito) e l’opposto paradigma “l’uomo è stato creato da Dio a sua immagine ed ha creato il mondo a servizio dell’uomo, pertanto l’uomo non solo deve godere delle risorse messe a sua disposizione, ma ogni sua creazione è il segno della vicinanza e della gloria di Dio”.
Dante è vissuto nel periodo di passaggio tra le due visioni della vita e del mondo. Le casate nobiliari già iniziavano a esprimere anche a tavola ciò che sarà definitivamente confermato nei secoli a venire con il Rinascimento e con Caterina De’ Medici.
La cucina ricca del 1300 oltre a sfamare, esprimeva il potere della Casata ed era espressione della cultura del tempo, tra scienza e negromanzia. Anche la cucina risentiva di postulati dovuti alla medicina dell’antica Grecia e di congetture derivate dalle lacune createsi nel Basso Medioevo. I piatti erano spesso caratterizzati da pietanze bianche (purezza/benevolenza) o gialle, colore che si otteneva con lo zafferano, e talvolta con l’oro (il giallo attrae l’occhio benigno delle stelle e l’oro combatte ogni infermità).
Le pietanze erano pensate in funzione della stagione, del commensale (donna, uomo, corpulento o mingherlino) e del suo carattere (compassato o irruento). Infine vi era un “alimento” da evitare: l’acqua, a cui si faceva riferimento come a qualcosa di nocivo. I pranzi dell’epoca di Dante già presentavano, nella strutturazione del menù, caratteristiche simili a quelle odierne, mentre il gusto, in special modo il dolce, il salato e l’acido, vivevano in una commistione di proposizioni oggi difficilmente accettabili.
La cucina, gradita e stimata, raramente era scritta e nel caso lo fosse stata, le ricette incontrerebbero per il lettore di oggi alcuni ostacoli: la lingua usata era il latino, ma infarcito di neologismi (del futuro volgare); talvolta gli stessi ingredienti erano chiamati con nomi diversi e oggi difficilmente comparabili, mentre altre volte di quegli ingredienti si è perso l’uso; in quell’epoca esistevano circa 400 unità di misura, la cui validità era relativa ad una zona e raramente comparata con altre; infine, le ricette erano scritte da persone dell’epoca che conoscevano quelle preparazioni e sono paragonabili più a promemoria che non a percorsi per replicare un prodotto.
Le pietanze presentate sono ricavate principalmente da “Liber de Coquina” scritto nel 1300 e per due preparazioni da “Libro de Arte Culinaria” edito nel 1480, confrontati con testi di storia dell’epoca e in parte riadattati alle attuali tecnologie. In merito all’impiego del “Libro de Arte Culinaria” come testo di riferimento, va tenuto presente che molte preparazioni della gastronomia sono così intimamente connesse col vivere comune da sopravvivere e adeguarsi al fluire del tempo: anche le pietanze proposte, sono reperibili ancora oggi nelle ricette tradizionali delle cucine regionali. Infine, la scelta dei piatti è improntata all’ingegno, alla curiosità e all’appagamento dei gusti del commensale. (A cura dell’Associazione Cuochi Alta Etruria)
Versatilità, purezza, capacità di adeguarsi a ogni circostanza creando equilibri di sapori ben calibrati, sono i punti di forza che connotano i grandi piemontesi, i quali stanno riscuotendo un successo sempre più ampio. Vi invitiamo a scoprire le nuove ricette proposte dai cuochi toscani nel fortunato programma in onda su Telecupole Bra, Raschera e Toma Piemontese presentano: Sapori in tavola. Proprio dalla terra di Dante sono in arrivo proposte intriganti, create ricercando le giuste armonie sensoriali e dando vita ad abbinamenti inaspettati direttamente dal XIII secolo, come la “Tartas (u)vel casiophas”: un’unione tra la morbidezza del Raschera e la dolcezza del miele per creare un turbinio di aromi a cui è impossibile resistere. Ma i grandi formaggi piemontesi sono anche una certezza per quanto concerne la tradizione gastronomica prettamente locale all’interno della quale si inseriscono. Ne è un esempio la Tartare tricolore con Toma Piemontese, elaborata dallo chef delle star Giuseppe Colletti, che unisce i colori del nostro paese ai gusti tipici del territorio in cui queste Dop vedono la luce. A livello locale o nazionale non ci sono limiti per le nostre eccellenze lattiero casearie che si rivelano la soluzione giusta per portare in tavola una garanzia di genuinità, sapore e storia.