Nata in Piemonte nel 1946, la Raspini è oggi azienda simbolo dell’arte culinaria italiana nel mondo. Ne abbiamo parlato con il Presidente, Umberto Raspini.
Cosa c’è “dietro” alla Raspini?
«C’è la storia di una famiglia che, da oltre 75 anni, porta avanti una fiorente azienda. Ma c’è anche la storia di una visione, germogliata nella mente dei miei genitori, diventata progetto, dove tutti i componenti e tutte le generazioni hanno lavorato duramente, per adattarsi prima all’evoluzione storica e naturale della società e successivamente ai cambiamenti del mercato».
Il punto di partenza?
«Le radici dell’azienda sono in piazza Barcellona, a Torino, dove mia madre Elsa, nel 1933, aprì una bottega: era una commerciante nata e, in poco tempo, gli affari presero a girare così bene che mio padre Ilario lasciò il suo impiego per unirsi a lei e condividere quell’impresa. Poi arrivò la costruzione della cascina a Viotto di Scalenghe, vero nucleo fondante del Salumificio Raspini, dove iniziarono una piccola attività di macellazione e lavorazione».
Cosa le hanno lasciato i suoi genitori?
«Hanno lasciato, in noi eredi diretti ma anche nelle successive generazioni, semi di determinazione, impegno, serietà e capacità di analisi, elementi che si sono rivelati fondamentali».
Cosa ha spinto lei e sua sorella, la compianta Maddalena, a proseguire il progetto?
«È stato naturale. Siamo nati e cresciuti a stretto contatto con il mestiere dei nostri genitori e il loro esempio di vita e lavoro. La vita di Maddalena prima e poi anche la nostra hanno condotto a scelte ponderate per il proseguimento dell’attività di famiglia, a partire dal lavoro e dalle scelte formative. Siamo sempre stati una famiglia molto unita e questo è stato un grande valore».
A proposito di Maddalena, c’è un episodio vissuto con lei a cui è maggiormente legato?
«Maddalena ha dimostrato, fin da ragazza, un carattere deciso, una forte determinazione e una capacità di visione fuori dal comune: interpellata da nostro padre in un momento decisionale, nonostante la giovane età, dichiarò con gran forza che il nucleo produttivo iniziale della cascina di Viotto sarebbe diventato una fabbrica, assumendosi di fatto un impegno che avrebbe portato avanti per tutta la vita».
A chi si affida nelle difficoltà?
«Le donne della mia famiglia, ovvero mamma Elsa, mia sorella Maddalena e mia moglie Ada, sono state protagoniste a vario titolo della storia della Raspini. Ora le mie figlie Tiziana e Raffaella con Alberto e i miei cinque nipoti sono la strada della continuità».
Cosa rappresenta il territorio?
«La nostra famiglia affonda le sue radici proprio nel territorio dello stabilimento con cui abbiamo da sempre un rapporto intenso: amiamo la nostra terra e le sue tradizioni. Essere azienda non vuol dire solo portare avanti un progetto per sé stessi e la propria famiglia, ma contribuire a far crescere un territorio, restituendo quanto ricevuto».
Un esempio concreto?
«Quando Raspini stava trasformandosi da piccolo laboratorio a industria artigianale, mia madre Elsa era sempre presente: vulcanica e instancabile, aveva allestito una grande cucina e preparava lei stessa il pranzo per gli operai. Una mensa aziendale “ante litteram”, ma anche un chiaro ed evidente modo di rapportarsi con i dipendenti: si lavora insieme, uno per l’altro e con l’altro, per far prosperare un’azienda che è bene comune ed è garanzia di benessere per le famiglie e per il territorio. Ciò ha consentito a molte persone di restare nei loro luoghi d’origine e crescere i figli nelle cascine di famiglia, senza cedere alle lusinghe delle fabbriche del vicino capoluogo, di non abbandonare i campi, di mantenere un’economia circolare e sana. Ma la restituzione avviene anche attraverso le numerose manifestazioni e sponsorizzazioni in cui l’azienda è presente, a partire dalle donazioni di prodotti fino a importanti impegni economici».
Il segreto dei vostri prodotti?
«L’amore per il nostro lavoro e la volontà di far bene: dalla severa selezione della materia prima, al rispetto dei processi di produzione, agli importanti accordi di filiera, come quello sottoscritto con Coldiretti che ha permesso la nascita del prosciutto cotto Gran Paradiso, il primo con il marchio FdAI, “firmato” dagli agricoltori italiani, che garantisce la completa tracciabilità. Ma anche un’equa ripartizione del valore tra tutti gli attori della filiera, a sostegno di agricoltori e allevatori. A una corretta ed efficiente distribuzione, a etichette chiare. Ogni particolare è seguito con attenzione e cura maniacale, perché amiamo lavorare bene. Da sempre, l’obiettivo è uno solo: far arrivare sulle tavole dei consumatori prodotti di altissima qualità, fornendo ai clienti il miglior servizio».
Come si assicura che questa formula venga rispettata?
«Facciamo della qualità e dell’innovazione la nostra bandiera, siamo azienda certificata sia per la qualità dei prodotti che per la sicurezza dei lavoratori. Dal mio canto, ho fortemente voluto la creazione dell’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani: nel 2017 ho partecipato personalmente alla stesura del suo manifesto, a cui l’azienda ha aderito. Questo perché, lo stesso manifesto, interpreta integralmente i valori della famiglia Raspini e dell’impresa. Storia e tradizione, informazione e cultura, qualità e sostenibilità, legame con il territorio, stile di vita italiano, gioco di squadra e orientamento al futuro».
Il prodotto “preferito”?
«È difficile scegliere, ma ho una preferenza per il Filetto Rosa: è un prodotto della tradizione della nostra terra lavorato con una meticolosa cura della materia prima. È una ricetta esclusiva per un prodotto di alta gastronomia, che ho fortemente seguito e voluto e che, con grande soddisfazione, è stato premiato nel 1989 dall’Accademia Italiana della Cucina».
Se dico Salame Piemonte Igp…
«La registrazione Igp per il salame Piemonte è un importante riconoscimento europeo per l’alta qualità di una lavorazione tipica del territorio, la cui produzione si rifà allo storico sapere contadino delle nostre campagne e delle cucine dei Savoia, risalente attorno al 1700. In qualità di presidente del Consorzio Salame Piemonte, mi sono speso molto in prima persona e ho fortemente voluto questo riconoscimento piemontese, italiano ed europeo. L’aver portato a termine questo progetto e aver raggiunto il risultato, mi rende particolarmente orgoglioso, perché è il riconoscimento di un’eccellenza storica del territorio, a cui la nostra azienda dedica particolare passione».
Cosa chiede il consumatore?
«La prima caratteristica che fa scegliere un prodotto è la provenienza italiana, la seconda è quella dell’alta qualità. E la nostra politica aziendale rispecchia proprio tali esigenze».
Le prossime sfide?
«Sono davvero tante e il periodo pandemico non le rende semplici, per nessuno. Adattarsi ai cambiamenti del mercato cercando di anticiparli e continuare nel nostro lavoro per la nostra gente, per il territorio e per tutti noi sono sfide decisamente importanti. Le porteremo avanti applicando e difendendo lo stile che ci ha sempre contraddistinto: lavoro competente, serio, onesto e rispettoso delle regole, anche quando appare più difficile e la ferma motivazione del “buon fare”… innovazione nella tradizione e miglioramento continuo».
Un consiglio per i giovani?
«Umiltà, ricerca del meglio, competenza, perseveranza: la famiglia è la realtà esemplare del coinvolgimento dei collaboratori; dall’esempio nasce la capacità di attrarre risorse di alto profilo morale che si identificano nel nostro stile imprenditoriale e nel nostro progetto; sono il presupposto dello sviluppo».