La Giornata Mondiale del Malato compie 30 anni, ed il versetto di Luca scelto per illuminare il senso ed il significato esprime l’intenzione originale dell’evento voluto da San Giovanni Paolo II come “occasione per crescere nell’atteggiamento di ascolto, di riflessione e di impegno fattivo di fronte al grande mistero del dolore e della malattia”.
L’esortazione di Cristo, crea una relazione concreta e operosa fra lo sperimentarsi destinatari della misericordia divina ed il divenire protagonisti di uno sguardo di misericordia rivolto al fratello.
Il nostro agire verso gli ammalati non è mai autonomo ma è sempre una risposta ad un amore misericordioso che ci precede e ci accompagna. Questa consapevolezza spirituale è fondamentale per liberare la relazione di cura da ogni ombra di pietismo: colui che cura e colui che viene curato sono entrambi amati da Dio di amore gratuito e misericordioso. Siamo in grado di prenderci cura dell’altro perché prima un Altro si è preso cura di noi.
Il nostro agire e le nostre opere di misericordia sono fatte perché abbiamo ricevuto misericordia e non per ricevere misericordia; altrimenti corriamo il rischio di vedere nel servizio al malato una semplice occasione per meritare lo sguardo misericordioso del Padre.
Il sofferente è il volto visibile di Dio: non possiamo essere misericordiosi con Dio ma possiamo esserlo con i nostri fratelli (1Gv, 20). I sofferenti sono il luogo divino in cui si manifesta la presenza del Cristo sofferente; una presenza da custodire e servire con tenerezza materna come mostrato da San Camillo de Lellis e Santa Teresa di Calcutta.
Il servizio al sofferente non deve essere anonimo e spersonalizzante ma deve sempre essere un “porsi accanto” in una relazione umana del prendersi cura. Il “porsi accanto” acquisisce particolare importanza nelle cure palliative che, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più ai trattamenti specifici e la cui diretta conseguenza è la morte”.
La vicinanza compassionevole al morente permette a quest’ultimo di non sentirsi solo nel momento di maggior vulnerabilità. Appare evidente, come riportato nella Lettera Samaritanus Bonus del 2020, che “dinnanzi all’ineluttabilità della malattia, infatti, soprattutto se cronica e degenerativa, se la fede manca, la paura della sofferenza e della morte, e lo sconforto che ne deriva, costituiscono oggigiorno le cause principali del tentativo di controllare e gestire il sopraggiungere della morte, anche anticipandola, con la domanda di eutanasia o di suicidio assistito”.
La vicinanza al malato non può risolversi in un’assistenza episodica ma deve svilupparsi in un “cammino di carità” che porta a crescere nella relazione di fraternità. Questa reciproca crescita umana e spirituale permette di cogliere nel dramma della malattia uno spiraglio di luce che illumina di significato l’esistenza.
La memoria liturgica di Nostra Signora di Lourdes, legata indissolubilmente alla Giornata Mondiale del Malato, ci mostra, in maniera quasi invisibile, lo stretto legame fra l’esperienza della grazia e la conseguente carità fraterna. La grotta di Massabielle è infatti divenuto luogo privilegiato dello Spirito dove sperimentarsi amati da Dio e accendersi di amore per i sofferenti.
Nella Diocesi di Saluzzo la XXX Giornata Mondiale del Malato verrà celebrata domenica 13 febbraio con la recita del Santo Rosario alle ore 15.00 in duomo, presieduta da S.E. mons. Cristiano Bodo ed animato dai volontari del CVS, dell’OFTAL e dell’Unitalsi.
Dott. Paolo Baderna