Jonas Edward Salk, quando gli chiesero chi possedesse il brevetto del vaccino antipoliomielite da lui appena inventato, rispose più o meno così: «Appartiene alla gente, suppongo. Non c’è brevetto. Del resto, si può brevettare il sole?». Oggi, a quasi 67 anni di distanza da quel 12 aprile 1955 che è diventato quasi festa nazionale, un’altra scienziata statunitense (ma di origini honduregne e… piemontesi, come spieghiamo nel box a lato) ha compiuto una scoperta che potrebbe consentire di vaccinare tutto il mondo a “basso costo”: Maria Elena Bottazzi Rovida, insieme al collega del Texas Children’s Hospital, il professor Peter Hotez, ha infatti messo a punto il primo vaccino anti Covid senza licenza per la proprietà intellettuale e, quindi, “accessibile a tutti”, anche alle popolazioni che vivono nelle aree più povere del mondo. Sperimentato in India, che ora si appresta a inocularne 300 milioni di dosi, “Corbevax” ha costi di produzione bassissimi e un’efficacia superiore al 90% per quanto riguarda il “primo” coronavirus (quello che si diffuse a Wuhan, in Cina, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020) e superiore all’80% per la variante Delta. E, soprattutto, la sua formula non è protetta da brevetti. Un’invenzione che è valsa ai due ricercatori la nomina al Nobel per la Pace 2022, oltre che i complimenti trasversali da ogni angolo del pianeta. Rivista IDEA è riuscita a mettersi in contatto con la professoressa Bottazzi Rovida, la quale ci ha concesso una lunga e arricchente intervista.
Professoressa Bottazzi Rovida, lei e il professor Hotez, insieme al vostro team di ricercatori, siete stati appena nominati dalla deputata texana Lizzie Fletcher come candidati al Premio Nobel per la Pace 2022. Cosa prova?
«Constatare l’efficacia del nostro vaccino era stato emozionantissimo; la nomina al Nobel è stato lo “shock” definitivo…».
Ora manca solo la telefonata del presidente Biden…
«È vero (ride, nda)… Peraltro stiamo già collaborando con il team della Casa Bianca che si occupa di sanità. La cosa che più mi fa piacere, oltre alla nomina da parte della deputata Fletcher, è che sia stato presentato al presidente Biden un documento firmato sia dai Democratici che dai Repubblicani in cui si chiede di sostenere con sempre maggior convinzione i progetti, come i nostri, che favoriscono la “global health”, ovvero la “salute globale”».
È il concetto alla base del vostro “vaccino del mondo”?
«Sì. Da oltre 20 anni ci occupiamo di trovare antidoti efficaci contro malattie che, seppure non mortali, debilitano pesantemente le popolazioni più povere. Penso ai vermi intestinali o ad altri virus che per chi non ha la possibilità di acquistare farmaci diventano praticamente letali…».
Queste esperienze come vi sono tornate utili nello sviluppo del vaccino anti Covid?
«Siamo partiti dalle nostre soluzioni studiate per Sars, Mers ed epatite B e le abbiamo declinate per il Covid, tenendo conto di un aspetto: il nostro vaccino doveva essere alla portata di tutti, ovvero doveva essere facilmente producibile, distribuibile e accessibile…».
E così è stato…
«Ce l’abbiamo fatta in circa 20 mesi. Si trattava, e si tratta tuttora, di una massima emergenza. Abbiamo cercato di cambiare il paradigma più diffuso, cercando di andare oltre ciò che viene solitamente richiesto ad accademici e ricercatori: ci siamo cioè occupati di ideare il vaccino ma anche di attivare quelle “connessioni” politiche ed economiche necessarie perché la nostra invenzione si potesse velocemente trasformare in qualcosa di concreto».
Ci descriva il vostro vaccino…
«Proprio per attingere da esperienze già consolidate e per abbattere i costi di produzione e sviluppo, abbiamo puntato su un vaccino proteico. Gli “ingredienti” sono praticamente gli stessi del vaccino anti epatite B e le proteine che vengono inoculate nel corpo umano per immunizzarlo dal nuovo coronavirus vengono prodotte tramite fermentazione di sostanze vegetali o sintetiche. Non sono presenti derivati di origine umana o animale».
Qual è la sua efficacia?
«Superiore al 90% per quanto riguarda il “primo” coronavirus, quello diffusosi a Wuhan, e superiore all’80% per le mutazioni Delta e Beta. Relativamente a Omicron e alla possibilità di utilizzarlo nei bambini e nei ragazzi sotto i 18 anni, gli studi sono in corso proprio in questi giorni. Dagli altri test è risultato come il nostro vaccino, che prevede due dosi inoculate a circa 28 giorni di distanza l’una dall’altra, sia sicuro e in grado di garantire un’elevata copertura per un periodo lungo, vicino ai sei mesi. Inoltre, risulta molto valido anche se utilizzato come dose “booster”».
Il costo?
«Molto basso. Circa 1,5 euro a fiala, in linea con i costi del vaccino anti epatite (e, di molto inferiore, rispetto a quelli di Pfizer e Moderna, che viaggiano intorno ai 20 euro a fiala, nda)».
La risposta dei Governi?
«L’India ha completato la sperimentazione clinica e ne ha autorizzato l’utilizzo in via d’emergenza, pre-ordinando 300 milioni di dosi. Si stanno muovendo nella stessa direzione anche altri Paesi come Bangladesh e Indonesia…».
Cosa pensate di fronte a ciò?
«Ancora oggi non ci siamo resi conto di ciò che abbiamo raggiunto. Per tutta la vita abbiamo inseguito un risultato di questa portata. Una soluzione che mettesse al centro la “global health”, il benessere di tutti… Non c’è ricompensa più grande di sapere che il nostro vaccino può consentire di immunizzare tutto il mondo e, quindi, fermare la pandemia».
Un messaggio per i giovani?
«Siate curiosi per poter generare idee che, poi, diventeranno soluzioni. Dedicatevi con tutti voi stessi alla ricerca e fate il possibile per favorire la “salute globale”: solo così potrete tutelare quelle connessioni sociali e il loro potere che l’evoluzione della tecnologia e le norme anti contagio rischiano di compromettere irrimediabilmente».