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«Non punto di arrivo, ma di partenza»

Massimo Perotto, 40enne di Manta, dirige Medicina e Chirurgia d’Urgenza dell’Asl Cn2

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Massimo Pe­rotto è diventato primario (formalmente direttore della Struttura Com­plessa) di Medicina e Chi­rurgia d’Ac­cettazione e d’Ur­genza del­l’Asl Cn2 a 40 anni. Un incarico assunto dopo aver guidato l’area medica del Covid Hospital allestito all’interno del nosocomio di Ver­duno, prima ancora che aprisse, durante la fase iniziale e più drammatica dell’emergenza sanitaria, nell’aprile del 2020. Due caratteristiche, la giovane età e il curriculum, in grado di accrescere l’interesse intorno al neo direttore, che ha risposto alle domande della Rivista IDEA.

Dottor Perotto, impossibile non cominciare dal Covid. Lei arriva all’importante incarico di primario dopo essere stato responsabile dell’area medica a Verduno per l’emergenza sanitaria. Cosa le hanno lasciato quei mesi?
«Soprattutto all’inizio è stata un’esperienza molto forte dal punto di vista psicologico. Una pandemia è un evento che ricorderai finché vivi, così come alcuni pazienti incontrati e momenti vissuti in quelle fasi di emergenza, quando si facevano turni di 12-13 ore senza riposi, con lo stress di dover gestire una situazione che spaventava, a maggior ragione perché non si sapeva ancora bene come affrontarla e in che modo proteggersi. A Verduno ci sono stati periodi in cui perdevamo 3-4 pazienti al giorno, non è stato facile da accettare. Quei mesi, però, sono stati anche altamente formativi. Il mo­dello che abbiamo provato a usare in quel periodo, basato sull’avvicinare medici molto giovani a colleghi in pensione, si è dimostrato vincente, perché i primi avevano energia e voglia di fare, mentre i secondi sono stati fondamentali per il loro grado di esperienza. Il “Modello Verduno”, più simile alla visione americana in cui coesistono attività di studio e lavoro, è stato citato anche in alcune riviste na­zionali in ambito sanitario».

Sarà banale domandarlo ma come si diventa primario? 
«Ci sono requisiti minimi per poter accedere a un concorso, come gli anni di anzianità di servizio, la specializzazione inerente alla struttura per cui ci si candida. Intorno a questo si costruisce un curriculum che comprende tutte le attività svolte a livello professionale e scientifico. Nel caso della Struttura Complessa di Me­dicina e Chi­rurgia d’Ac­cet­tazione e d’Urgenza, una delle richieste era l’aver ma­turato esperienza nella gestione dell’emergenza Covid, per esempio. Poi si dava importanza alla formazione in ambito ecografico».

Il primario è una sorta di allenatore che è anche giocatore. Corretto?
«Per come la vedo io, si deve continuare a “giocare”, perché solo così si capisce cosa succede in Pronto Soccorso e in reparto. È importante an­che per non perdere le abilità acquisite in quanto a manualità e nelle procedure, anche se non ci si può dedicare completamente all’attività clinica, perché c’è la parte organizzativa e burocratica da sbrigare».

Essere un buon medico significa necessariamente essere un buon primario?
«Assolutamente no, infatti a chi mi fa le congratulazioni rispondo ringraziando e di­cendo che non è un traguardo ma un punto d’inizio, perché è un’esperienza completamente nuova e diversa».

Nell’immaginario collettivo quella che dirige lei è l’area in cui finisce il paziente ricoverato in un reparto normale che si è aggravato o quello che era in terapia intensiva e ora è migliorato. Corrisponde al vero? 

«Per quanto riguarda il pa­ziente ricoverato, sì: rappresentiamo uno “step down” dalla Rianimazione o un passaggio verso l’alto per il paziente di area medica, ma può essere anche che si arrivi direttamente in Pronto Soc­corso e per le prime 24-48 ore si abbia bisogno di un monitoraggio molto intenso che in altre aree dell’ospedale non può essere fatto. La medicina d’urgenza è la struttura in cui vanno gestiti quei pazienti che, indipendentemente dalla patologia sottostante richiedono una certa, elevata intensità di cura. Il punto forte della medicina d’ur­genza è proprio avere una visione a 360 gradi sul paziente critico».

Lei ha citato il Pronto Soccorso, che fa parte della struttura complessa che dirige. Al di là dell’emergenza sanitaria di questi anni, in tanti pensano che se ne faccia un po’ un abuso.

«Il Pronto Soccorso, insieme al 118, è l’unico servizio aperto sempre, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Chiunque può presentarsi e cercare una risposta ai propri dubbi di natura sanitaria. È un presidio importante, come hanno dimostrato di esserlo anche le Usca (Unità Speciali di Con­tinuità Assistenziale, ndr), durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria».

Un’ultima domanda, più leggera. Da un po’ di tempo sono tornate di gran moda le serie tv a tema medical, tipo “Doc-Nelle tue mani” con Luca Argentero. Che ne pensa?

«Non le seguo, ma per mancanza di tempo, non per pregiudizio. Se queste fiction servono a convincere qualcuno in più a intraprendere questo percorso, ben vengano… Per un po’ di anni i medici erano scomparsi dalla tv, ora sono tornati. Mi ricordo che quando iniziai Medicina, nel 1999, imperversava “Er-medici in prima linea” e la figura del medico d’urgenza aveva conquistato una certa fama. I giovani studenti al giorno d’oggi spesso fanno scelte differenti, l’appeal di Medicina d’Urgenza è diminuita, anche per il sacrificio in termini di qualità di vita che richiede».