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Quattro generazioni per oltre 110 anni di valori condivisi

La lunga storia di Avagnina Marmi a Fossano, nel segno di una grande famiglia allargata

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Un’azienda storica in provincia, che dopo oltre 110 anni prosegue con la giovane Micol, rappresentante della quarta generazione della famiglia A­vagnina. Una tradizione tramandata dal lontano 1911, quando il capostipite Gio­vanni fondò a Fossano una piccola azienda inizialmente dedicata all’indoratura di stucchi e, in seguito, alla produzione di manufatti in graniglia e cemento. Il “boom” arriva nel secondo dopoguerra, grazie alla produzione di pavimenti in graniglia gettati in opera e dei “marmettoni”, piastrelle in agglomerato ce­mentizio e marmoreo. Inizia in questi anni anche la lavorazione dei marmi e dei travertini, sino ad incrementare nei decenni successivi la produzione a livelli industriali.

Negli anni ’80 le redini della ditta passano ad Enrico “Chic­co” Avagnina, il più giovane dei nipoti della terza generazione. Classe 1953, Chicco riprendeva, nel modo di atteggiarsi e di dialogare, i modi che furono del papà Italo, degli zii Simone e Sergio e, probabilmente, del nonno Giovanni. Un tratto consapevole, misurato nei giudizi, un ragionamento concreto e preciso, una visione serena, costruttiva ed entusiastica degli impegni di lavoro e dell’avvenire della sua società. All’età di 58 anni Chicco scopre di essere malato, un tumore che non gli lascerà più di 3 mesi di vita. Un tempo esiguo per permettere alla giovane figlia, che già lavorava in azienda come commerciale, di apprendere da lui tutti i segreti del mestiere. Di questo periodo difficile ce ne parla direttamente Micol Avagnina. «Quando è mancato mio padre ho dovuto forzatamente prendere il suo posto. Era il 2011, avevo poco più di 30 anni e lavoravo in azienda da poco, nonostante avessi già iniziato ad affiancare mio padre nelle sue mansioni. Ero ancora acerba, nessuno si aspettava che sarei dovuta intervenire così presto. Mi sarebbe piaciuto poter lavorare insieme a lui per più tempo, ma fortunatamente i suoi collaboratori mi hanno aiutato a prendere in mano le redini dell’azienda in fretta». Ed è proprio per questi colleghi che Micol spende le parole più appassionate, considerandoli come una grande famiglia. Proseguendo la tradizione iniziata dal padre qualche decennio prima, in azienda non esiste un confine netto tra la vita lavorativa e quella privata: la sinergia professionale si estende anche ai rapporti personali, creando un ambiente di lavoro sereno e costruttivo.

«Il mio angelo custode è stato Claudio Marassi, collaboratore e braccio destro di mio padre, ancora al mio fianco», spiega Micol Avagnina. «Ar­rivò in azienda che aveva poco più di 20 anni, dopo essersi formato in uno studio di commercialisti. Piano piano iniziò ad appassionarsi di materiali e a collaborare con Chicco, diventando la sua ombra. Ora è un aiuto preziosissimo, un collaboratore indispensabile che ha visto lo sviluppo dell’azienda negli ultimi decenni e ne conosce tutti i segreti. Oltre a lui è stata di fondamentale aiuto la presenza di mia mamma, Silvia Abrate. Essendo divorziata, alcuni anni fa aveva preferito allontanarsi dall’azienda, ma è subito accorsa quando mio padre ha scoperto della malattia. Ora si occupa di progettazione interni e design di arredi, ed è un lavoro che le riesce particolarmente bene».

Dalle parole calorose di Micol emergono i valori che hanno fatto la storia della ditta Avagnina: collaborazione, trasparenza, fiducia, sacrificio, umiltà di apprendere da chi è più esperto. Valori trasmessi di generazione in generazione, che Micol ha avuto modo di osservare fin da bambina.

«Mio padre è sempre stato per i suoi dipendenti un punto di riferimento. A suo tempo si è circondato di ragazzi molto giovani, spesso senza esperienza ma con una grande voglia di imparare. Dava moltissima importanza alla formazione, plasmava i suoi lavoratori quando erano an­cora acerbi e cercava sin da subito di coinvolgerli da un punto di vista pratico. Com­plice il suo atteggiamento paterno, l’azienda era come una seconda, se non prima, famiglia. I rapporti solidi e duraturi costruiti allora non sono mai sbiaditi: dipendenti e clienti erano legati all’azienda da un punto di vista affettivo, oltre che lavorativo. An­che questo aspetto contribuiva a renderlo un eccellente imprenditore, così come lo ricordiamo ora. Quando è mancato è stata una sofferenza per tutti, ricordato più come una persona cara che come un datore di lavoro. Spero di aver appreso da lui i valori e i comportamenti per cui era tanto stimato, e trasmetterli con sincerità alle generazioni future».

Articolo a cura di Matilde Benedetta Botto