«Vi spiego perché ho deciso di puntare sulle Langhe»

Parla l’imprenditore Riccardo Illy in vista dell’acquisizione di una nota cantina langarola

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Imprenditore, politico, appassionato del mon­do del vino e delle Lan­ghe. È l’identikit (si­cu­ramente non esaustivo) di Ric­­­­cardo Illy, terza generazione della famiglia che ha fondato e guida tuttora il colosso triestino Illycaffè. Forte­men­te impegnato nello sviluppo del Po­lo del Gusto, nei giorni scorsi ha annunciato di essere intenzionato ad acquisire una nota cantina di Barolo tra le colline lan­garole. Noi di IDEA lo ab­bia­mo intervistato.

Illycaffè, 1933. Partiamo da qui. Lei aveva appena un an­no quando se ne andò suo non­no Francesco, l’“ungherese” in­ven­tore della vostra azienda. Cosa rappresenta per lei?

«È stato un uomo eclettico dalle grandi capacità inventive (la pressurizzazione del caffè, pri­mo metodo di conservazione per quel prodotto, la prima macchina espresso moderna funzionante con una pompa, per fare due esempi), con un forte orientamento alla qualità e una innata sensibilità artistica. Quando fondò la Illycaffè, che iniziò producendo anche cioccolato, ge­stiva pure un’a­zienda agricola in Istria: lì aveva piantato alberi da frutta per produrre le sue confetture. Per me rappresenta quindi un faro che ha guidato e ispirato le mie decisioni più im­portanti. Il ritorno al cioccolato, con Domori, nel 2007; quello all’agricoltura, con Ma­strojanni, nel 2008; l’impegno nel settore della frutta conservata, realizzato nel 2005 con la partecipazione in Agrimontana…».

Cosa le ha lasciato, invece, suo padre, il compianto Ernesto?
«Fu profondo filosofo e appassionato scienziato, oltre che im­prenditore visionario. A lui de­vo il rigore nell’approccio alla qualità, realizzato applicando tecnologie avan­zate mutuate da altri settori, e il ritorno al tè, con Dammann Freres. Una be­van­da che amava e che produsse dagli anni ’60 agli anni ’80».

Lei come si pone, nelle sue scelte imprenditoriali, di fron­te alle tematiche, molto sentite, del “green” e dello sviluppo sostenibile?
«Il mio mentore, per quanto at­tiene l’attività di manager e imprenditore, è stato Peter Dru­cker, il creatore del mo­derno mo­dello di “management”, di cui ha scritto e che ha insegnato per oltre 60 anni. Nei suoi libri ammoniva le aziende affinché si preoccupassero dei temi am­bien­tali; altrimenti lo avrebbe fatto il regolatore, con misure molto più onerose. Drucker co­niò anche il termine “stakeholder” per identificare i detentori di legittimi interessi in ogni azienda: i dipendenti, i fornitori, l’ambiente sociale lo­cale. Che ogni azienda deve preoccuparsi di soddisfare as­sieme ai clienti; di fatto, gettò anche le basi per il marketing. Le società del nostro gruppo hanno quindi una forte sensibilità nei confronti della so­stenibilità; sono, o stanno di­ventando, “società be­nefit” (se­condo la legge italiana) e cer­tificate “B-Corp” (certificazione che riguarda performance am­bientali e sociali, nda)».

Lei è stato anche sindaco di Trieste, presidente del Friuli e deputato. Come ha vissuto queste e­spe­rienze?

«Si è trattato di esperienze mol­to intense e arricchenti; ol­tre a ca­pire cosa accade dal­l’altra parte della “barricata” nella pub­blica amministrazione, ho af­finato le qualità di leadership, ho imparato la do­te della pa­zienza (della quale non ero molto dotato…) e la ge­­stione del­la complessità. Mi hanno consentito di conoscere meglio la mia città e la mia regione, della quale ho vi­sitato ogni comune, incon­trando migliaia di cittadini e centinaia di imprenditori, tra i quali tanti vitivinicoltori, i migliori produttori di bianchi al mondo».

Che risposte si aspetta dalla po­litica sul fronte del sostegno all’innovazione e alla cre­­­scita delle imprese?
«Il “pubblico”, anche grazie alle risorse europee, ha fatto e sta facendo moltissimo per sostenere le imprese italiane. Quello che mi aspetto in più non costa quasi nulla ma è la cosa più difficile da realizzare: la semplificazione. Secon­do uno studio de Il Sole 24 Ore, in Italia vigono più di 100mila leggi; in Francia e Germania, per fare un confronto, ne hanno tra le 5 e le 7mila».

Cosa propone?
«L’approvazione, con legge-de­lega (che prevede che i decreti legislativi siano approvati dal Go­verno), di dieci testi unici nelle principali materie che riguardano l’impresa. Testi uni­ci che riordinerebbero e sem­plificherebbero le norme e che potrebbero essere scritti da dieci università italiane, le più competenti in ciascuna delle materie in questione».

Prima citava i viticoltori. Nelle Langhe, in questi giorni, gli esponenti del mondo del vi­no (e non solo) hanno parlato mol­to di lei alla luce del suo annuncio di voler acquistare una nota cantina di Ba­­­­rolo (i be­ninformati so­sten­gono si tratti della Man­zo­ne di Mon­forte d’Al­ba). Co­me ha co­­­nosciuto queste colline?

«Frequento le Langhe fin da­gli anni ’80 quando conobbi e di­venni amico di Carlin Pe­trini: è lui che mi ha fatto conoscere il meglio, soprattutto dal punto di vista umano, di quella terra. Con Slow Food abbiamo avviato una collaborazione intensa che dura ancora. Mia moglie, inoltre, ha vissuto per alcuni anni a Ca­luso (il paese del­l’Erbaluce) e mi ha spesso coinvolto nelle sue rimpatriate piemontesi. Negli ultimi 15 anni, poi, ho partecipato alla vita della nostra società Domori e della partecipata Agrimontana, cosa che mi ha consentito una periodica frequentazione delle Lan­ghe. L’amicizia con diversi produttori di vino ha completato un legame che è anzitutto culturale, estetico e di affetto».

La passione per il vino, invece, com’è nata?

«È nata quando, da ragazzino, ac­­­­compagnavo mio padre al­l’aeroporto di Gorizia, dove prendeva lezioni di volo. Ol­tre alla passione per il volo, che ho praticato con il deltaplano e il pa­rapendio, ho im­parato a conoscere i grandi vini bianchi del Collio e dei Colli Orientali del Friuli: dopo aver lasciato l’aeroporto eravamo infatti soliti visitare ristoranti e aziende vitivinicole della zona. Negli anni ’80 conobbi Gino Veronelli e, a un corso per non addetti ai lavori organizzato a casa sua, Giorgio Grai. I loro insegnamenti, la loro passione e la loro amicizia han­no reso indelebile la mia passione per il vino. Gino Veronelli mi volle poi presidente del suo Se­minario Permanente, al quale era­­no associati i più grandi (qualitativamente parlando) produttori: con loro si è pure instaurato un rapporto di amicizia».

Le motivazioni e gli obiettivi che la stanno portando a completare questa importante ac­qui­­sizione nelle Langhe?

«Il vino rappresenta per il Polo del Gusto e per il gruppo Illy il ritorno all’agricoltura. Abbiamo investito a Mon­tal­ci­no in Ma­strojanni nel 2008 e l’abbiamo fatta crescere da 24 a 39 ettari vitati. La nostra attenzione si concentra su vini longevi e “universali”; definisco così i vini che hanno una lunga storia alle spalle e che sono già conosciuti a livello planetario. In sostanza, vini di grande tradizione, non soggetti alle mode né al rapido deperimento. In Italia, oltre al Brunello di Montalcino, c’è il Barolo; altri importanti vini del nostro Paese hanno una storia ancora troppo breve per essere considerati , a mio avviso, “universali”. Con il Barolo amplieremo la gamma dei vini che in Italia distribuiamo tramite Do­mori, consolidando la nostra pre­senza nel settore. Ulteriori investimenti saranno possibili in futuro, quale impiego dei flussi di cassa prodotti dalle altre società manifatturiere una volta raggiunta la lo­ro maturità».

Un progetto enologico che vor­­rebbe realizzare?
«È difficile inventare qualcosa di nuovo in un settore che esiste da millenni. Puntiamo a valorizzare e recuperare antiche pratiche della vitivinicoltura dando loro un supporto e una validazione scientifica».

Verrà a vivere nelle Langhe?
«Spero che l’azienda che acquisiremo sia anche dotata di una struttura ricettiva e conto, come faccio ora a Montalcino, di trascorrere ogni tanto dei periodi anche nelle Langhe».

Quali altre eccellenze enogastronomiche cuneesi vorrebbe portare nel Polo del Gusto?
«La nocciola; la “tonda gentile” è in assoluto la migliore al mon­do. Ne utilizziamo in Domori, Agrimontana e Pintaudi; un noc­cioleto potrebbe garantire ma­teria prima di qualità alle tre aziende e, quale integrazione verticale a valle, un produttore di torrone potrebbe costituire la… “nocciolina” sulla torta».