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«È fondamentale che la politica non rimanga ferma»

Fabiano Porcu, direttore provinciale di Coldiretti Cuneo, riflette su Covid, siccità e peste suina

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Appassionato com’è di pallacanestro e di immersioni, si potrebbe pensare che Fabiano Porcu non si trovi a proprio agio a Cuneo, dove il basket non è certo il primo sport e le immersioni non esattamente a portata di mano. Invece il direttore provinciale di Coldiretti Cuneo ha trovato nel capoluogo della Granda una dimensione che gli è congeniale. Perché è vicino alle montagne, che gli permettono, innevamento permettendo, di dedicarsi allo sci, ma sopratutto perché, come spiega lui stesso: «Cuneo è una città con tutti i servizi, ma a misura d’uomo. Ho poi la fortuna di lavorare nella più grande Federeazione Coldiretti di Italia, in una struttura che è funzionante, funzionale e all’avanguardia. Sia dal punto di vista professionale che personale mi trovo particolarmente bene. Nelle varie occasioni di contatto con le strutture nel mondo cuneese ho avuto modo di constatare che sono caratterizzate da buona amministrazione ed efficienza, anche in settori in cui questo non è consueto e scontato».

Un rapporto, quello con la realtà cuneese, che si è fatto più intenso negli ultimi due anni, da quando ha preso in mano le redini della direzione di Col­di­retti provinciale.

Direttore Porcu, che bilancio può fare di questo biennio?
«Sono arrivato il primo di febbraio del 2020, subito prima che scoppiasse la pandemia, e questi sono stati due anni parecchio impegnativi, molto difficili perché il settore agricolo è stato particolarmente colpito. Fortunatamente è venuta fuori da subito la sua importanza: all’inizio, quando non sapevamo cosa ci sarebbe toccato, una delle prime paure di tutti era quella di non avere più il cibo sugli scaffali. Anche nel periodo più buio, quando non si poteva uscire di casa, i nostri agricoltori erano nei campi, i nostri allevatori erano nelle stalle per consentire a tutti noi di avere il cibo in tavola. Nonostante tutto il lavoro encomiabile di quei mesi, il settore è stato immediatamente oggetto di speculazioni da parte dei soliti noti, la nostra azione, di conseguenza, è stata subito pressante per cercare di evitare speculazioni sui costi delle materie. Un altro aspetto molto importante che è venuto fuori nei mesi del lockdown è lo smascherare quelle fake news che attribuiscono all’agricoltura la causa di tutta una serie di inquinamenti. Abbiamo tutti notato come stando a casa fermi due mesi l’inquinamento sia crollato; ciò significa che la nostra agricoltura è veramente sostenibile, perché se in quel periodo l’unico settore che continuava a produrre era quello agricolo e l’inquinamento si è sensibilmente ridimensionato, significa che non è l’agricoltura la responsabile».

La pandemia ha anche modificato il modo di intendere il lavoro in campo agricolo?
«Non so se lo abbia modificato dal punto di vista dei lavoratori del settore. Di certo sono venute fuori ancora più chiaramente alcune esigenze dei consumatori, che hanno riconosciuto l’importanza di mangiare cibo sano e a chilometro zero. Circa l’80% degli italiani dicono di voler mangiare cibo del territorio, questo aspetto è stato ulteriormente accentuato. Ma è vero che dobbiamo modificare in parte anche il nostro modo di lavorare perché il mondo cambia ogni giorno e il settore non può restare fuori da questo cambiamento. Una cosa che facciamo costantemente e i nostri lavoratori già hanno fatto è quello di rendere sempre più sostenibile la nostra agricoltura. Quella italiana è già una delle più sostenibili a livello mondiale, ma bisogna continuare ad andare in quella direzione».

È in Coldiretti da quando ha trent’anni e ha operato in diverse zone. Come è cambiato il ruolo di Coldiretti e come cambia a seconda delle latitudini?
«È un’entità che ha sempre avuto la capacità di cambiare in anticipo sui tempi. Se lei pensa a che cosa ha significato per l’agricoltura la Legge di orientamento, fortemente voluta da Coldiretti… Quello è stato un cambiamento epocale! O la vendita diretta (Campagna Amica, ndr), su cui oggi vorrebbero mettere il cappello in tanti, è un progetto di Coldiretti: nato tra lo scetticismo di tutti , oggi fattura quasi 4 miliardi di euro a livello nazionale. Inoltre siamo stati la prima organizzazione che si è rivolta a una società che certificasse i bilanci e questo avviene da quasi venti anni».

La siccità è il problema peggiore che dobbiamo affrontare in questo momento?
«Diciamo che è un evento straordinario da dieci anni, ma se ce lo diciamo da dieci anni non può essere tanto straordinario! Tenga conto che in Italia tratteniamo più o meno l’11% dell’acqua piovana, se ne trattenessimo di più questo problema non ci sarebbe. La siccità in sé è effetto del cambiamento climatico per il quale dobbiamo pianificare delle azioni concrete. Invece la politica resta ferma, come per la peste suina: sono due anni che diciamo alla Regione Piemonte che c’è questo rischio, siamo scesi in piazza già a dicembre del 2019, abbiamo raccolto tante promesse, ma po­che azioni e ora abbiamo la peste suina alle porte. E questo è un grande rischio per un settore che in Piemonte è importantissimo, tanto più se si tiene conto che l’80-90% dei suini piemontesi finisce nel circuito del Parma».

Quali i ruoli di presidente e direttore in Coldiretti?
«Le due figure devono interagire in maniera costante perché il lavoro di uno rende più facile il lavoro dell’altro. In Coldiretti abbiamo un’organizzazione per cui il presidente viene eletto e si occupa principalmente della politica sindacale. Il direttore, invece, si occupa in primo luogo della struttura, dell’apparato funzionariale. Avere una struttura efficiente rende più facile l’attività del presidente, gli consente di occuparsi della politica sindacale; allo stesso modo avere un presidente che si occupa in maniera importante della politica sindacale rende più facile il lavoro del direttore».

Lei è anche vicepresidente della Camera di Commercio. Allargando l’orizzonte al commercio cuneese, che quadro vede dalla sua posizione?
«Nella Camera di commercio siamo 4 vicepresidenti, ognuno in rappresentanza dei settori. Anche grazie all’azione del presidente, tutti noi cerchiamo di spogliarci del nostro abito da associazione di categoria all’interno della Camera e cerchiamo di ragionare per il bene comune. Facciamo molti progetti insieme ad altre associazioni di categoria, con le quali c’è un rapporto di buona collaborazione. Anche se a volte abbiamo interessi contrastanti e ogni rappresentanza porta avanti i propri, lo si fa sempre in maniera pacata, sforzandosi di essere costruttivi, mai per uno scontro fine a se stesso».