Per approfondire ulteriormente lo studio regionale sulla trasmissibilità del nuovo coronavirus abbiamo colloquiato anche con David Lembo, direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare dell’Università di Torino.
Professore, in che modo siete riusciti a ricostruire il percorso delle particelle di coronavirus?
«In collaborazione con Arpa Piemonte, abbiamo deciso di sperimentare differenti dispositivi con cui “catturare” il virus contenuto nell’aerosol emesso da pazienti positivi al Covid, aspirando grandi quantitativi di aria dall’ambiente. In seguito, in laboratorio, la difficoltà è stata quella di estrarre il virus catturato dai filtri e concentrarlo in un liquido di trasporto, per poi determinarne la concentrazione attraverso adeguate tecniche di biologia molecolare come la Pcr (acronimo inglese che sta per “reazione a catena della polimerasi”). Le particelle virali che cerchiamo si trovano in particelle sospese in aria (aerosol di origine biologica) della dimensione anche inferiore a un micrometro, vale a dire mille volte più piccole di un millimetro. Più in generale, i campioni ambientali contenenti i virus (campioni di aria, ma anche di acqua reflua) sono contraddistinti da concentrazioni di virus molto più diluite rispetto ai campioni clinici, quelli che vengono ottenuti dalle mucose del naso o della gola dei pazienti, per intenderci. È qui gran parte della sfida scientifica».
Cosa è emerso?
«Dopo aver messo a punto il metodo di campionamento e analisi del nuovo coronavirus in aria, Arpa ha effettuato una lunga serie di campagne di monitoraggio, in particolare negli ambienti più facilmente contaminati da pazienti Covid. Le prove in campo delle tecniche sviluppate hanno interessato reparti ospedalieri specializzati nella cura dei pazienti Covid, gli interni delle abitazioni di nuclei familiari contagiati, l’aria esterna ai reparti Covid degli ospedali così come l’aria respirabile nelle vie del centro del capoluogo regionale. Queste attività hanno posto le basi per la piena comprensione del fenomeno di diffusione del patogeno: attraverso uno specifico esperimento condotto con un paziente ad alta carica virale, è stato possibile stabilire inequivocabilmente che il virus si trasmette tramite aerosol, ben oltre le distanze a lungo ritenute “di sicurezza” (1-1,5 metri)».
Nei test avete pure riscontrato come le emissioni provocate dalla fonazione siano superiori rispetto a quelle legate all’attività di respirazione…
«Come già anticipato da studi precedenti, le emissioni durante la fonazione risultano essere di un ordine di grandezza superiore rispetto alla semplice attività di respirazione. Più si parla ad alto volume e più si emette virus. La presenza di sintomi quali la tosse o gli starnuti certamente aumenta drasticamente l’emissione di particelle contenenti virus nell’aria, aumentando la capacità di contagiare altri soggetti».
Nei vostri test, avete avuto modo di verificare l’eventuale efficacia del vaccino anche a livello di protezione dal contagio?
«È scientificamente dimostrato come la copertura vaccinale offra grande efficacia nella prevenzione dello sviluppo della malattia e della gravità delle sue conseguenze, mentre non possa essere garantita al momento totale protezione rispetto al rischio di semplice contagio. Abbiamo potuto verificare con Arpa l’effetto benefico della campagna vaccinale durante la primavera-estate 2021, all’epoca del “regno” della variante Delta, attraverso il monitoraggio delle acque reflue piemontesi, laddove, pur a fronte di una certa circolazione del virus nella popolazione, i test positivi erano davvero ridotti, segno probabile di una certa asintomaticità degli infetti».
I risultati conseguiti vi hanno portato a definire un modello, ora attuabile in diversi contesti per prevenire i meccanismi di contagio. Cosa prevede?
«I risultati sperimentali forniti da Arpa Piemonte hanno validato un nuovo approccio teorico predittivo recentemente sviluppato da ricercatori dell’Università di Cassino e della Queensland University of Technology di Brisbane, rappresentate dal professor Giorgio Buonanno e dalla professoressa Lidia Morawska. Il modello è finalizzato a calcolare la concentrazione del virus in un ambiente indoor partendo dalle emissioni delle persone infette e dalle caratteristiche di ventilazione dell’ambiente. Sulla base di tale strumento modellistico è possibile costruire politiche coerenti nella gestione degli ambienti interni e nella determinazione di misure di controllo per ridurre il rischio di infezione (ad esempio, calcolando la massima occupazione degli ambienti indoor e la durata massima dell’occupazione). Gli importanti risultati raggiunti, sia sul piano teorico che su quello sperimentale, confermano il fatto che, negli ambienti chiusi, in presenza di una o più persone infette, la distanza interpersonale non possa garantire gli altri occupanti dal rischio di contagio in quanto le particelle virali contenute nel bio-aerosol emesso galleggiano nell’aria come il fumo della sigaretta. Negli ambienti chiusi il rischio di contagio può essere gestito attraverso l’uso di mascherine che filtrano anche l’aria esalata (le note Ffp2 senza valvola) e, soprattutto, con la ventilazione e il ricambio dell’aria, naturale o meccanica. In particolare, una ventilazione meccanica ben progettata e realizzata è il sistema più efficiente per minimizzare il rischio di contagio».