Lo studio che ha dimostrato come l’immunità innata di ciascuno sia in grado di contrastare spontaneamente il virus che causa il Covid ha il volto di due giovani ricercatori: Isabel Pagani dell’Istituto di Ricerca Ospedale San Raffaele (foto a sinistra) e di Matteo Stravalaci di Humanitas (a destra). Entrambi, dopo una brillante carriera universitaria, sono entrati, giovanissimi, nel mondo della ricerca, arrivando ora a raggiungere questo risultato, che è stato meritevole di pubblicazione sull’autorevolissima rivista scientifica Nature Immunology. Laureata proprio al “San Raffaele”, Pagani da otto anni si occupa di patogeni virali emergenti. Nella sua giovane carriera, ha studiato la pandemia di influenza che si è diffusa nel 2009 e ha condotto ricerche sul virus Zika, lavorando in seguito allo sviluppo di farmaci capaci di contrastare gli effetti di questa infezione. «Poi è scoppiata la pandemia da Covid, che ci ha costretti a variare le nostre attività», racconta Pagani, aggiungendo: «Al “San Raffaele” ci siamo attivati immediatamente per innalzare i livelli di sicurezza del laboratorio e, di conseguenza, poter “maneggiare” fin da subito il nuovo virus». Ora la soddisfazione per i risultati conseguiti con la ricerca sull’immunità innata contro il Covid è grande ma l’attenzione resta fissata sui prossimi traguardi da raggiungere. «La ricerca è fatta di alti e bassi. L’importante è crederci sempre e lavorare in maniera rigorosa. Prima o poi, i risultati arrivano», ha evidenziato. Dal canto suo, Matteo Stravalaci, laureato in biotecnologie alla “Bicocca”, ha lavorato per dieci anni presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, occupandosi del ruolo dell’immunità innata nell’ambito di malattie che colpiscono il cervello. Nel 2017 è approdato in Humanitas, approfondendo ulteriormente i meccanismi dell’immunità innata. «Con l’arrivo del Covid, abbiamo messo in campo le competenze acquisite in passato per comprendere come l’immunità innata si comportasse nei confronti del virus che causa il Covid. E così siamo riusciti a raggiungere questo importante risultato che ora ci spinge a proseguire la ricerca in questa direzione in modo da favorire gli sviluppi terapeutici. Non bisogna mai scoraggiarsi e non bisogna mai smettere di alimentare la propria passione».