Si parla di tennis e campioni, ma anche dei cambiamenti vissuti dalla società e dalla cultura negli ultimi cinquant’anni nell’incontro online, organizzato in anteprima da Scrittorincittà 2022, con il giornalista di Sky Sport, Stefano Meloccaro, che dialoga con l’assessore del Comune di Cuneo, Cristina Clerico, presentando il suo ultimo libro, “Colpi di genio”, edito da Sperling&Kupfer nel 2021. L’ennesima manifestazione del filo diretto che lega la cultura al capoluogo della Granda, che, proprio in questi giorni, ha incassato anche la conferma di uno stanziamento di 12,5 milioni dal Pnrr per il completamento della nuova Biblioteca Civica presso la sede del settecentesco Palazzo Santa Croce, nel centro storico. L’incontro con Meloccaro è in programma domani, venerdì 25 febbraio, e sarà l’occasione ideale per tutti gli appassionati e lettori per conoscere da vicino la personalità unica di Stefano, tra i volti più noti del tennis italiano, ma anche un “tuttofare” dei media, avendo lavorato a lungo in radio, televisione e carta stampata.
Nell’epoca dei social network, dovesse descriverci il suo ultimo lavoro con un tweet?
«Direi che è un volume che vuole raccontare la storia recente del tennis, cercando di evidenziare un elemento in particolare: che i tennisti di un tempo erano molto più fighi di quelli di oggi e che questa distanza è frutto soprattutto di un profondo cambiamento culturale vissuto dalla nostra società».
Sotto quale aspetto?
«Dal punto di vista umano. Forse, sotto il piano sportivo i campioni che racconto non erano perfetti come quelli di oggi, ma avevano personalità uniche. La loro diversità si manifestava nel rettangolo di gioco, ma soprattutto fuori: ognuno era pazzo a modo suo. Giocatori difettosi e uomini folli, come Connors, Panatta o McEnroe».
E oggi?
«Oggi, il sistema mediatico impone di essere perfetti e di raccontarsi come tali. Il tennis, di conseguenza, si è allineato, diventando uno spettacolo di macchine automatizzate, cresciute per fare questo sport, ma con personalità clamorosamente omologate».
Si può dire, quindi, che il volume sia un elogio all’imperfezione?
«Una critica, in particolare, all’appiattimento. La fauna diversificata del tennis di un tempo consentiva anche di immedesimarsi nel campione che vedevi vincere. Erano persone come noi, con difetti».
L’epoca dei “big three”, ovvero Federer, Nadal e Djokovic, ha portato, quindi, solo elementi negativi?
«Ovviamente no, ma ha imposto un modello nuovo, in cui la scienza e l’immagine hanno preso il sopravvento. I tre campionissimi, però, hanno a loro volta degli elementi unici. Nadal e Federer, ad esempio, sono artisti, mentre Djokovic è forse il più perfetto essere umano mai sceso su un campo da tennis».
Che ha evidenziato anche delle imperfezioni, in tempi recenti, con la scelta di schierarsi dalla parte dei “no vax”…
«Credo che la sua scelta di opporsi all’obbligo vaccinale sia il prodotto del suo modo di essere sportivo, infinitamente dedito alla cura di sé e contrario a ogni forma di somministrazione che possa modificare il proprio corpo. Questo è anche la dimostrazione di come il tennis sia uno sport olistico, in cui conta anche come si è fuori dal campo».
E quale ruolo gioca l’Italia in questo tennis “nuovo”?
«Un ruolo finalmente da protagonista, frutto di una serie di aspetti che hanno fatto la differenza: scelte federali innovative, una crescente competitività e poi un po’ di sana fortuna. Il destino ha voluto che le cicogne posassero diversi bambini prodigio nel nostro Paese e i risultati si sono visti».
Spostandoci all’attualità, ha seguito la “comparsata” di Fiorello a Sanremo?
«Eccome no. È stato un regalo fatto all’amico Amadeus da un genio come lui. Non avrebbe più dovuto partecipare e invece ha dimostrato ancora una volta la sua grandezza».
Quanto le ha dato condurre con lui “Laos”, lo spin off di “Edicola Fiore”?
«Tantissimo, soprattutto in termini di curriculum (ride, nda). È stata una importante gratificazione personale, ma non nascondo che anche sotto il punto di vista della visibilità per me ha rappresentato la svolta».
Qual è, invece, il suo rapporto con Cuneo?
«Purtroppo, e faccio mea culpa, non ho ancora avuto modo di visitarla, perché è molto lontana dalla mia Rieti. So bene, però, quali bontà e bellezze si nascondano nel vostro territorio e vedrò di recuperare al più presto».
In provincia Scrittorincittà rappresenta ormai un’istituzione. Quanto è importante, secondo lei, la cultura, oggi?
«Tantissimo, anche per i discorsi che abbiamo fatto in precedenza. Oggi ci sono tantissimi analfabeti funzionali, che sanno leggere e scrivere, ma non sono in grado di collegare due pensieri tra loro e che si affidano a modelli preconfezionati. La cultura, invece, impone impegno e dedizione, ma è fondamentale per andare oltre i social network».
A proposito, che rapporto ha con i social?
«Di amore e odio. Ho la fortuna di appartenere a una generazione che sa usarli senza essere usato, ma devo anche fare a botte con loro per poter alzare gli occhi di mio figlio 12enne dal cellulare e spostare la sua attenzione proprio su qualcosa di più culturale. Credo, però, che i social andrebbero ricondotti a quello che sono: un ambiente virtuale, che ha poco a che vedere con la realtà».
Quindi da ridimensionare?
«Per certi versi sì, pur senza screditarli. Io, ad esempio, non me la prendo con gli insulti online. Sono abbastanza vecchio da ricordare le scritte nei bagni degli autogrill: per me un commento su Facebook vale allo stesso modo».