«Vacciniamo il mondo intero Nessuno si salva da solo»

Giuseppe Remuzzi, direttore del “Mario Negri” di Milano, è impegnato in prima linea per l’immunizzazione globale

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I numeri sembrano in­co­raggianti e fanno immaginare una definitiva risoluzione della pandemia. Sa­rà proprio così? Lo abbiamo chiesto al professor Giu­sep­pe Re­muzzi, direttore dell’Istitu­to di Ri­cer­che Farma­cologiche Ma­rio Ne­gri di Milano.

Professor Remuzzi, la pandemia è ai titoli di coda?
«Come affermato da Chri­sto­pher Murray sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, una volta che sarà terminata l’ondata causata dalla variante Omicron, il Covid continuerà a esistere, ma non la pandemia. Certo, sarebbe bello pensare che questa ondata sia l’ultima. Tut­tavia, la fine della pandemia di­pende da tanti fattori che rendono incalcolabile sapere se ci sarà un’altra variante. Per questo motivo, è necessario mantenere ancora un approccio prudente, continuando con la cam­pa­­gna vaccinale e indossando ma­­sche­rine Ffp2 al chiuso o in caso di assembramenti al­l’aperto».

Servirà la quarta dose?

«Per rispondere occorre osservare chi è più avanti di noi in fatto di campagna vaccinale. Israele, ad esempio, è stato il primo Paese ad autorizzare la quarta dose nei pazienti fragili. I dati preliminari finora disponibili, comunque, mettono in dubbio l’efficacia ulteriore di questa dose aggiuntiva in pazienti over 60 e fragili. Lo stesso giunge da Danimarca, Stati Uniti, Un­ghe­ria, Spagna e Ger­ma­nia. Pro­ba­bil­mente in Italia si deciderà per mettere in standby la quarta do­se (al momento autorizzata per i soggetti immunodepressi, ndr), più che altro per vedere co­me evolve la situazione e prendere eventualmente in considerazione un vaccino annuale, capace di proteggerci anche da Omi­cron e da possibili nuove varianti».

Lei intanto ha proposto una pe­tizione per richiedere l’istituzione di un fondo di solidarietà europeo al fine di favorire la somministrazione dei vaccini an­che nei Paesi più poveri…

«Il problema relativo all’iniquità dei vaccini resta oggi il più im­portante: il virus ha già ucciso più di cinque milioni di persone. Estendere l’accesso alle cure si­gnificherebbe rinunciare solo per un tempo limitato ai diritti di proprietà intellettuale, unico mo­do per vaccinare i Paesi più poveri. Il collo di bottiglia è rappresentato dall’incapacità di trovare un punto d’incontro tra le diverse nazioni e le industrie farmaceutiche. Per questo motivo abbiamo proposto la creazione di un fondo di solidarietà per finanziare i piani vaccinali dei Paesi più poveri, che affronti non solo la disponibilità di vaccini ma anche il problema logistico e la distribuzione. Finora l’Euro­pa ha donato 145 milioni di dosi ai Paesi africani per contrastare la pandemia da Covid. No­nostante ciò, solo il 10% di questa popolazione ha ri­cevuto almeno una dose. Di questo passo non solo veniamo meno ai principi di solidarietà, in un momento in cui in Europa siamo verso il completamento del ciclo vaccinale anche con la dose di richiamo, ma mettiamo a rischio la nostra sicurezza. Lo sviluppo di nuove varianti, come già successo con Omi­cron, è un pericolo concreto. Tanto più ora che molti governi stanno allentando le restrizioni, è necessario allargare lo sguardo a livello globale e agire per mettere in sicurezza tutto il mondo: in una pandemia, infatti, nessuno si salva da solo».

In questo momento, a livello clinico, come si presenta il virus?

«La variante in circolazione da fine novembre, Omicron, ci ha messi di fronte a una malattia un po’ diversa rispetto a quella che avevamo do­vuto affrontare due anni fa e poi con la variante Delta.
La presenza di un elevato numero di mutazioni nella sequenza della proteina Spike stimola in maniera diversa il nostro sistema immunitario. Studi di laboratorio hanno suggerito che, ri­spetto alle precedenti varianti, Omicron è più efficiente nell’infettare le vie aeree superiori mentre ha una ridotta capacità di infettare i polmoni. Questo po­­­trebbe spiegare perché la nuo­va variante causa una malattia meno grave, con sintomi principalmente limitati alle alte vie aeree, come raffreddore e mal di gola. I primi dati provenienti da Sudafrica, Gran Bretagna e Da­nimarca sulla gravità clinica dei pazienti infettati da Omicron sembrano suggerire una riduzione del rischio di ricovero rispetto a Delta. Questo però non deve assolutamente far abbassare la guardia: a causa della sua au­mentata trasmissibilità, infatti, Omicron po­trebbe mettere in difficoltà gli ospedali, dal mo­mento che i pazienti fragili e le persone non protette dal vaccino restano ancora parecchio su­scettibili all’infezione. I vaccini sono quindi, per certo, l’arma mi­gliore: è stato ampiamente di­mostrato che la dose booster riesce a conferire alti livelli di protezione nei confronti della ma­lattia grave e del decesso».

Il virus muterà ancora?

«Il virus continuerà a mutare per adattarsi sempre meglio al suo ospite, accettando anche di ri­dur­re la sua virulenza. Per questo motivo probabilmente ci vaccineremo tutti gli anni, come per l’influenza. Fortu­natamente avre­­mo vaccini sempre più adattati alle varianti e impareremo a controllare la ma­lattia, proprio co­me abbiamo ormai da tempo imparato a fare con l’influenza».

Come cambierà il vaccino?
«“Aggiornare” la sequenza genetica della proteina Spike sulla base delle mutazioni identificate nelle diverse varianti dovrebbe essere un processo relativamente semplice. Grazie alla ricerca, presto avremo a disposizione nuo­vi vaccini capaci di contrastare qualunque va­rian­te e qualunque tipo di coronavirus. Stu­di preliminari rivelano risultati molto solidi. L’esperienza fatta con Omicron, però, ci suggerisce che potremmo non essere in grado di prevedere dove sorgerà la prossima variante. Ma una cosa è certa: finché il virus continuerà a circolare, si presenteranno nuove varianti perché questa è la naturale evoluzione di qualsiasi tipo di virus. Se una futura variante riuscirà a “bucare” la difesa conferita dai vaccini non si sa. Lo scopriremo pre­sto se non ci affrettiamo a vac­­cinare il mondo intero…».

E la prevenzione?
«L’unica vera arma per prevenire il Covid è il vaccino. Le cure domiciliari messe a punto al “Mario Negri” non rappresentano un’alternativa al vaccino. Oggi, con la variante Omicron, chi non si vaccina ha una probabilità di 45 volte maggiore di fi­nire in ospedale rispetto a chi è vaccinato. Un noto fisico italiano, Andrea Palladino, ha affermato che per ogni 10% in più di persone vaccinate si evitano più di 16mila decessi da Covid. Pen­sare di non vaccinarsi perché ci sono cure disponibili non solo è una pessima idea, ma consente al virus di continuare a circolare».

Quale lezione trarre?

«La pandemia ha fatto emergere il bisogno di intervenire su medicina e sanità, a ogni livello. È necessario da un lato imparare a occuparsi anche dei bisogni dei Paesi più deboli e dall’altro prendersi cura dei nostri ospedali così come del Sistema Sanitario Nazionale, una risorsa preziosa da difendere. È proprio grazie al Ssn se noi oggi possiamo competere con i migliori al mondo e riusciamo a curare tutti senza alcuna distinzione».