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Evelina Christillin «L’importanza della sconfitta»

Abbiamo intervistato la manager torinese in occasione dell’evento promosso a Cherasco per l’8 marzo

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Numerose so­no state nel­la Gran­da le ma­nifestazioni in occasione della Giornata Internazionale dei Di­ritti della Donna, l’8 marzo, molte delle quali volte a sottolineare come siano fondamentali una sensibilizzazione e un sostegno durante tutto l’arco dell’anno. Inse­ren­do­si all’interno di queste iniziative la Città di Cherasco ha invitato la manager Evelina Christillin per un dialogo a tutto tondo con il giornalista del­la Stampa Giu­seppe Bottero. Presidente del­l’Ente Na­zionale Italiano per il Tu­rismo (Enit) dal 2015 al 2018, presidente del Teatro Stabile di Torino dal 2007 al 2015, docente universitaria di Storia, ex atleta della Nazionale di sci alpino, presidente esecutivo del Comitato Promotore dei Giochi Olimpici Invernali a Torino nel 2006, Christillin è dal 2012 an­che presidente della Fonda­zione Museo Egizio di Torino.

Christillin, scorrendo la sua biografia, salta all’occhio una grande versatilità e poliedricità di interessi. Dai Giochi Olim­pici al Museo Egizio, dal­l’Enit fi­no alla Fifa: lei gode di un punto di vista privilegiato su quale sia la situazione delle don­ne nei pia­ni alti delle aziende.
«Quando ho iniziato, da giova­nis­sima, a lavorare nell’ufficio stam­pa Fiat svolgevo una mansione lontana dai vertici, ma posso dire che allora le donne in azienda rappresentavano un’assoluta mi­noranza. Molta strada è stata fatta da allora. Nel settore culturale, ad esempio, parecchie sono le donne dirigenti, mentre si fanno ancora gli occhi grossi quando c’è una donna in ruoli tradizionalmente maschili, co­me quello di direttore d’orchestra o nel mondo dello sport, do­ve molto resta da fare. Nel 2001 io sono stata la prima donna a essere eletta nella Giunta del Coni come dirigente e non come atleta. Grazie alla riforma di Gio­van­ni Malagò ora c’è il trenta per cento di donne nei consigli federali, ad esempio, e bisogna dire che le quote “protette” hanno fornito un aiuto, ma è necessario che noi donne ci dimostriamo competenti sul campo per poter restare al nostro posto al di là delle quote. D’al­tronde, sempre più spesso, nelle politiche delle governance d’a­zienda si legge che il “genere me­no rappresentato” deve essere pari al 33 per cento. Mi sembra una definizione corretta: ci sono situazioni in cui sono gli uomini a essere in minoranza».

A proposito, cosa ne pensa del filone femminista-polemico di scrittrici come Michela Murgia che invita a disertare i dibattiti in cui mancano le donne?

«Io non sono così apodittica. Mi è capitato spesso di sedere in una conferenza con nessuna o po­chissime altre donne e non per questo ho rinunciato a partecipare. Non può diventare un talebanismo al contrario».

Come vede l’uso dell’asterisco e la schwa in versione inclusiva?

«Per carità! Sono contraria a tutto quello che si trasforma in un’eccessiva limitazione. Fermo re­stando che il rispetto è dovuto a tutti, non trovo sensato costruire gabbie con cui ci si muove poi con difficoltà. Nei diversi luoghi in cui lavoro si usa un linguaggio corretto e rispettoso senza arrivare alle sofisticazioni».

In diverse interviste lei ha dichiarato di aver imparato più dalle sconfitte che dalle vittorie…
«Assolutamente. Essendo stata un’atleta fin da bambina so benissimo, come ogni sportivo, che cosa significhi perdere. Ma chiunque, nel corso della vita, incontra delusioni in ambito scolastico, lavorativo o affettivo. La grande lezione che insegna lo sport è che il giorno dopo bisogna comunque alzarsi e ricominciare ad allenarsi. Il concetto di non temere la sconfitta l’ho interiorizzato fin da piccola e mi è entrato dentro come il latte materno. La generazione dei trenta e quarantenni sembra più fragile, forse è stata troppo protetta, mentre i ragazzi di oggi – vedo i miei nipoti – sono stati allenati alle difficoltà da questi due anni di pandemia, per cui sono forti e battaglieri».

Parlando di pandemia, lei si è occupata di cultura e anche di turismo come presidente della Fon­da­zione Museo Egi­zio. Cosa pos­siamo salvare?

«La grande ca­pacità di migliorare dal punto di vista della co­municazione digitale che ab­biamo di­mo­stra­to tutti, per sopravvivere. Al Museo Egizio abbiamo un piccolo esempio. Il nostro direttore, Christian Gre­co, prima della pandemia era solito organizzare delle passeggiate, una volta al mese, con alcuni visitatori, a museo chiuso. Durante il lockdown ha registrato otto ore di video che su YouTube hanno ottenuto un milione e mezzo di visualizzazioni. Quando abbiamo riaperto il museo, le persone sono arrivate a prenotarsi dai quattro angoli del mondo per assistere dal vivo a quello che avevano visto su Internet. Que­sto è un ottimo esempio di interazione e po­tenziamento reciproco tra on­line e offline».

Come vede il futuro del turismo invece?
«Bisogna imparare a mettersi in rete, non solo online ma collaborando di più tra comuni, tra regioni, perché l’offerta di un territorio risulta molto più interessante se fa parte di un pacchetto diversificato. Spesso, alle fiere, ogni regione usa un suo stand mentre un brand “Ita­lia” avrebbe certamente un impatto maggiore».

Di recente ha rivelato di aver sciato con il presidente russo Vladimir Putin…
«Sì, nel 2001 ero a Sankt Anton, in Austria e mi proposero una sciata con Putin, allora nemmeno cinquantenne, da poco nominato primo ministro. Lo sciatore Pirmin Zurbriggen fece da traduttore per la nostra chiacchierata in cui il premier mi chiese consigli per la candidatura della Russia a ospitare le Olimpiadi Invernali del 2014. Qualche mese dopo lo rividi al Cremlino e mi disse: “mi impegno sempre al massimo per raggiungere i miei obiettivi”. Ricordo una persona gentile, determinata, non vidi lo sguardo gelido di cui oggi spesso si parla. O, forse, non lo notai».