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«Per Morricone un lavoro folle e straordinario»

Gianni Russo ha prodotto il docufilm “Ennio” dedicato all’autore di celebri colonne sonore: «Era umile nonostante i tanti capolavori. Quanti ricordi da Sergio Leone. E Zeffirelli ci disse no»

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Un lavoro lungo sei anni per realizzare un appassionante mix di 150 minuti di ricordi, musica, immagini, testimonianze, confessioni e sentimento allo stato puro. Parliamo del docufilm “Ennio” dedicato al più grande compositore italiano prestato al cinema, Ennio Morricone. Una pellicola presentata fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia e in proiezione nelle sale in questi giorni. Un progetto, quello della casa di produzione “Piano B”, che è subito balzato in testa alle classifiche: un risultato mai ottenuto da un docufilm. A raccontare l’enorme lavoro è Gianni Russo socio con Gabriele Costa della “Piano B”. Russo è molto legato all’Albese: da alcuni anni è sposato con Chiara Prato, giornalista, originaria di Alba.

Come è nata l’idea di dedicare un docufilm a Morricone?
«Qualche anno prima avevamo incontrato Giuseppe Tornatore, abbiamo realizzato un docufilm su di lui quando aveva vinto il Nastro D’Argento. Siamo diventati amici e parlavamo spesso di fare qualcosa insieme. Quando abbiamo pensato di realizzare questo omaggio a Morricone ci siamo subito rivolti a Tornatore perché sapevamo quanto il maestro fosse legato a Peppuccio. E sapevamo che Ennio avrebbe accettato di fare questo lavoro solo se se ne fosse occupato Tornatore. E così è stato».

Com’è andato l’incontro con Morricone?
«Siamo andati a casa sua, un alloggio enorme e bellissimo a Roma. Gli abbiamo parlato del nostro progetto e lui subito ha detto di no. Solo quando abbiamo aggiunto che se ne sarebbe occupato Tornatore si è fatto più possibilista. Ma ci ha detto di attendere un attimo. Si è allontanato per una decina di minuti e quando è tornato ha accettato. Abbiamo poi capito che aveva chiamato Peppuccio per avere conferma di quanto avevamo detto ed essere soprattutto sicuro che se ne sarebbe occupato lui».

Il lavoro è cominciato sei anni fa, un periodo molto lungo di realizzazione, ci sono stati intoppi?

«Si è trattato di un progetto molto costoso e abbiamo avuto periodi di stop per reperire fondi. Poi c’è stato il Covid che ci ha costretto a lavorare per oltre un anno a distanza. Infine il materiale raccolto: era tantissimo, oltre 40 ore di interviste. Un lavoro enorme. È stato bellissimo, ma a tratti anche terribilmente stressante. Ci sono state giornate davvero difficili, lo ammetto. Persino il giorno del mio matrimonio il mio socio Gabriele ha abbandonato la festa per risolvere questioni legate al documentario». Sono davvero tanti i personaggi che hanno accettato di ricordare il maestro: da Hans Zimmer a Quentin Tarantino a Clint Eastwood, Sergio Leone, Bruce “The Boss” Springsteen, Wong Kar Wai, Carlo Verdone, Oliver Stone, Barry Levinson, Dario Argento, Bernardo Bertolucci, Quincy Jones, Lina Wertmuller, Marco Bellocchio, i fratelli Taviani, Zucchero, John Williams, Pat Metheny.

Qual è l’intervista che lo ha colpito di più?
«Sergio Leone ci ha inondato di ricordi, lui e Morricone avevano un rapporto davvero speciale. Leone andava a cercare anche i lavori del maestro che altri avevano scartato. Quentin Tarantino era talmente devoto di Ennio da farci andare sul set del suo film “C’era una volta a Hollywood”, alla periferia di Los Angeles, due di notte, per poter partecipare al nostro lavoro. E non smetteva più di parlare. Abbiamo girato il mondo, è vero. Ma l’intervista più emozionante, a mio avviso, l’abbiamo fatta dietro casa: a Trastevere, da Bernardo Bertolucci. Un pathos straordinario, una dialettica senza eguali. Un ricordo di Ennio davvero toccante».

Sono molto interessanti anche le parti dedicate all’infanzia di Morricone, si intuisce già in quelle prime scene come la musica facesse parte di lui. È stato emozionante riviverlo insieme?
«Ennio è un personaggio di una umiltà pazzesca, sembrava non rendersi conto di aver creato capolavori conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. Fin da piccolo ha dato tutto se stesso per la musica. Dotato di un talento incredibile. E di una memoria di ferro che lo ha accompagnato fino alla fine. Tornatore aveva trovato una foto di lui bambino che suonava la tromba: Ennio ricordò che l’immagine era stata scattata a Santa Cecilia e lui aveva 7 anni».

C’è un personaggio che si è rifiutato di ricordare Morricone?
«Zeffirelli disse di no e fu categorico. Io ho pensato che lo avesse fatto perché aveva rifiutato una colonna sonora di Ennio. Il pezzo venne poi recuperato da Sergio Leone in “C’era Una Volta in America” e fu un enorme successo. Non siamo riusciti a raggiungere Brian De Palma e non abbiamo pensato a Robert De Niro, è stato un errore».

Il rapporto tra Ennio Morricone e la moglie Maria?

«Un amore senza fine, fatto di rispetto e sostegno reciproco. Maria era la sua prima consigliera, di lei si fidava ad occhi chiusi. A lei faceva sentire per prima tutti i suoi lavori. È stata entusiasta del nostro lavoro. Ha visto anche la prima stesura, quella di sei ore. E poi ha chiesto a Tornatore di poter avere anche quella: “Li c’è tutta la mia vita”».