Nella sede della Giolito Formaggi, a Bra, con il suo sorriso inconfondibile che fa capolino dalla mascherina, ci riceve Fiorenzo Giolito. Un piacevole incontro che ci ha permesso di conoscere meglio l’ormai ultracentenaria attività casearia braidese.
Fiorenzo, dove nasce la sua passione per i formaggi?
«Mi è stata tramandata dai miei famigliari. Anche se, a dire il vero, il “furmagè” l’ho fatto per scelta: non amavo molto studiare… Ero un po’ una testa dura. Ma andavo a fare i mercati con mio papà. Così, negli anni, mi sono affezionato a questo lavoro e ci ho messo del mio, dal punto di vista della ricerca e della cura. Nel 1976 aprimmo il nostro primo negozio di formaggi in provincia di Cuneo. Fu una svolta. Un successo durato almeno 20 anni. Continuai a fare i mercati e, nel 2001, inaugurammo un piccolo spaccio nel cortile di via Monte Grappa. Spaccio che, nel tempo, è divenuto un negozio a tutti gli effetti».
Come sono cambiate le cose a livello commerciale?
«A Bra c’erano più di 200 negozi di alimentari. Oggi siamo rimasti in pochi, in una città di quasi 30mila abitanti. La grande distribuzione ha segnato il cambiamento di un’epoca».
I vostri punti di forza?
«Puntiamo sulla qualità e ci siamo aperti a nuovi obiettivi. Trascorro spesso le mie domeniche in montagna per ricercare nuove soluzioni e chicche da proporre ai clienti, sia al dettaglio che all’ingrosso. La nostra clientela va dalla ristorazione locale a realtà estere. Cerchiamo costantemente sbocchi nuovi, bisogna sempre stare sul pezzo. Nei giorni scorsi, ad esempio, sono stato al “Salon du fromage”, in Francia, per conoscere, individuare nuovi contatti e documentarmi».
A proposito di chicche, quali sono le più riuscite?
«All’inizio, si è partiti con i formaggi tradizionali. Tra le nostre montagne e, in particolare, a Elva e in tutta la Valle Maira, che frequento spesso, si trovano formaggi eccezionali. Vicino a Monasterolo di Savigliano, ho di recente scoperto un piccolo produttore di formaggi di pecora straordinari. Negli anni, non mi sono mai limitato a comprare, stagionare e rivendere. Ho trasformato alcuni formaggi: negli anni Ottanta e Novanta, ad esempio, lanciai il Braciuk, un prodotto lavorato con le vinacce. Piace ancora a distanza di anni e ce lo ordinano pure dal Giappone. Ora sto stagionando un Bra Duro nel fieno e la formaggetta di capra Cabra; un’altra, di pecora, l’ho chiamata Toma’s. Amo l’ironia, che per me è l’unica cosa che ci salverà».
Le esigenze dei clienti sono cambiate?
«Anche in questo caso, dopo l’avvento della grande distribuzione, c’è stato un cambiamento. La comodità è diventata un fattore determinante. Quando facevo i mercati, vedevo soprattutto le massaie fare provviste. Ora è cambiato tutto. Da noi, vengono i braidesi, ma soprattutto i turisti stranieri. Ho cercato di inventarmi qualcosa di accattivante, come le degustazioni proposte in una sala che ha un fascino particolare. Oltre a proporre i formaggi, occorre raccontarli, attività molto apprezzata proprio dai visitatori stranieri. Anche gli italiani che provano le degustazioni, comunque, ne sono entusiasti».
L’emergenza sanitaria come ha condizionato l’attività?
«Negli ultimi due anni si è stravolto tutto. Nonostante il Covid, e grazie anche alla collaborazione con alcuni tour operator, i nostri percorsi di degustazione continuano a funzionare. Sentirsi raccontare e descrivere un formaggio, credetemi, è una delle cose più belle del mondo. Oltre che essere un’attività istruttiva e didattica».
Ci parli del recente restyling.
«Il nostro piccolo negozio, con più di 20 anni di vita, aveva bisogno di un rinnovamento. Aveva bisogno di nuovi spazi, banchi e frigoriferi. Uno sforzo economico importante, ma è uno degli ultimi: voglio anche riposarmi e non fare come il presidente Mattarella (ride, nda)… Il prossimo anno compirò 70 anni, 55 anni dei quali li ho dedicati al lavoro. Ho individuato il successore in mio nipote Marco Pirotta, già da un po’ di anni in azienda. Lo seguirò e lo affiancherò nel passaggio di testimone. Comunque, non mollerò del tutto, perché questo mondo mi piace. Arriveremo alla quarta generazione. Nel 2020 avevo programmato una festa per i cento anni compiuti da Giolito Formaggi, ma il Covid ha fermato tutto. Adesso sto pensando cosa fare: mi inventerò un evento. La fantasia non mi manca…».
Quali scenari immagina per il vostro settore?
«Per quanto concerne la produzione, vedo che le piccole realtà vivono un momento particolarmente difficile. Occorre incentivarle e aiutarle, senza se e senza ma. Per quanto riguarda, invece, l’aspetto commerciale, spero che Bra continui a mantenere alto il livello grazie a Slow Food e Cheese. Dobbiamo proteggere le nostre produzioni. La crisi attuale, a partire dall’aumento delle bollette, colpisce tutti. Da parte mia, sto cercando di contenere gli aumenti e, anzi, con il rinnovo dei locali, ho abbassato il prezzo di alcuni prodotti. Nei prossimi mesi l’aspetto economico, condizionato dall’emergenza sanitaria e dalla guerra, sarà decisivo. Ma voglio continuare a essere ottimista e mi auguro un’edizione indimenticabile di Cheese 2023».