Anche per far fronte ai cambiamenti che hanno interessato la società del 21° secolo, eternamente connessa e attiva, nella quale il piano fisico e quello psicologico sono spesso correlati, negli ultimi anni, la scienza ha cercato di fronteggiare i nuovi malesseri dell’individuo con tecniche innovative. Si spiega in parte anche così il graduale affermarsi della cosiddetta medicina integrata. Ne abbiamo parlato con Benedetta Aimone, medico chirurgo impegnato da anni in questa disciplina, che il prossimo 26 marzo sarà tra i relatori di TEDxCuneo, dedicato al tema “Ubuntu, identità connesse”, di cui Rivista IDEA e IDEAWEBTV.IT sono nuovamente media partner ufficiali.
Lei si occupa di medicina integrata a base di psiconeuroendocrinoimmunologia (Pnei). Come riassumerebbe questa “parolona”?
«Questa parola lunga in realtà in parte si capisce scomponendola. Da un lato, c’è il sistema psicologico, dall’altro i sistemi che regolano l’organismo. La Pnei non studia singolarmente questi sistemi, ma le loro relazioni. In sintesi, analizza i contesti in cui la mente diventa corpo e viceversa».
Un esempio pratico?
«Il più facile da comprendere è quello dello stress. Ogni individuo entra in contatto quotidianamente con situazioni che lo fanno reagire a livello psicologico e queste reazioni provocano dei cambiamenti alle molecole corporee, che incidono a loro volta sul nostro organismo. La medicina integrata cerca proprio di trovare il collante tra le diverse dimensioni, per maturare delle diagnosi più complete e quindi delle soluzioni più efficaci. Utilizza strumenti derivati dalle ricerche e dalle conoscenze delle tradizioni di cura in sinergia con l’approccio convenzionale rivolgendosi a tutte le dimensioni umane e aumentando l’efficacia degli interventi sulla salute».
Per certi versi, quindi, l’applicazione di “Ubuntu” alla medicina…
«Diciamo di sì. “Ubuntu” rappresenta per me la coscienza collettiva, ciò che ci permette di essere contemporaneamente individui e comunità. Il Giardino dei Folli, il nostro gruppo di lavoro, è nato dal desiderio di concretizzare il concetto di “Ubuntu” nell’ambito della cura, superando le frammentazioni e la contrapposizione tra discipline diverse. Insieme ai miei colleghi cerco di valorizzare i contributi delle varie tradizioni di cura, integrandoli in un approccio alla salute umana e globale il più possibile unitario seppur multidimensionale».
Che rapporto ha questo approccio con la scienza classica?
«Credo di poter dire che si tratta di una scienza avanzata, perché applica le più recenti teorie dei sistemi alla medicina. Il merito principale è quello di non scomporre il corpo umano in singole dimensioni autonome, ma di considerarle nel loro complesso, partendo proprio dal presupposto che gli uomini sono sistemi i cui elementi interagiscono costantemente».
Insomma, una scienza che è frutto delle scoperte dell’oggi…
«Sicuramente alcune conquiste degli ultimi anni la influenzano. Penso in primis alla computerizzazione e alla globalizzazione, ma anche ad alcuni avanzamenti culturali, come quelli portati dalla fisica quantistica, che pone al centro l’interconnessione. Non c’è solo modernità, però, ma anche riscoperta. Il punto di forza della medicina integrata è quello di servirsi dei più tradizionali strumenti della medicina, integrandoli con le conquiste di altre culture o del passato. Penso all’agopuntura cinese o all’omotossicologia, che rappresenta un avanzamento “scientifico” della omeopatia».
Come si può applicare al Covid, grande male degli ultimi due anni?
«Le applicazioni sono state molteplici e su più fronti. La premessa è che vaccini e farmaci sono sempre la soluzione più diretta ed efficace per la parte terapeutica, ma possono essere combinati ad altri strumenti. Alle terapie, infatti, si integrano almeno altre due dimensioni. Quella della prevenzione, intesa come un mantenimento dell’organismo in condizioni ottimali per poter fronteggiare sfide come quella del Covid e quella che si concentra sul piano psicologico, sfruttando strumenti provenienti da varie tradizioni, come le pratiche psico-corporee e la regolazione emozionale».
Lei ha coordinato negli ultimi anni l’Ambulatorio Medico per Lavoratori Stagionali nato a Saluzzo. Anche in relazione all’importante flusso proveniente dall’Ucraina, che cosa si può fare?
«Senza dubbio non tutte le migrazioni sono uguali e molte delle problematiche che abbiamo individuato a Saluzzo erano peculiari del contesto migratorio per lavoro. Detto questo, esistono sicuramente degli elementi comuni a tutti i flussi, che possono essere studiati e fronteggiati. Noi non possiamo avere la presunzione di sapere che cosa sia la guerra, ma sappiamo che il nostro corpo reagisce a determinati stimoli in modi analoghi e possiamo far fronte a queste reazioni. Ovviamente, senza dimenticarci che ogni individuo ha delle caratteristiche uniche e che la soluzione non può essere la stessa per tutti».
La medicina integrata, quindi, può aiutare molto…
«Direi proprio di sì. Ci tengo a citare il progetto “Co-Healting”, lanciato proprio all’Ambulatorio Medico per Lavoratori Stagionali di Saluzzo lo scorso anno e, purtroppo, non rinnovato. In quel centro, erano presenti tre psicologhe, un educatore e un medico, a disposizione degli utenti: specialisti diversi, che garantivano un approccio multidisciplinare e, quindi, una diagnosi più completa».