Reinhold Messner, il primo alpinista al mondo ad aver scalato tutte le 14 cime che superano gli ottomila metri, è senz’altro un osservatore privilegiato, soprattutto ora che il pianeta è chiamato a compiere scalate particolarmente complesse, da quelle per la difesa dell’ambiente a quelle per fermare le guerre, passando per le fatiche post pandemiche. Alla luce di ciò c’è grande attesa, in provincia di Cuneo, per l’arrivo di Messner, che domani, venerdì 25, sarà a Lagnasco, ospite di Nuovi Mondi Festival, nell’ambito degli eventi promossi dal salone dell’outdoor di Terres Monviso. Noi di IDEA lo abbiamo intervistato prima del suo ritorno in Granda.
Messner, scalare le montagne è una sfida?
«Sfida è la parola sbagliata. Scalare una montagna è una tensione; una tensione che, in realtà, vive chi sta effettuando la scalata. Questo perché la montagna non ha emozioni. Siamo noi a mettere emozioni nella montagna, noi che facciamo le esperienze».
Di che esperienze si tratta?
«Le scalate in montagna offrono la possibilità di fare esperienze molto profonde sulla vita umana, su ciò che sono l’uomo o la donna rispetto alla grande natura che li ospita e li circonda».
Cosa si impara da queste situazioni?
«Il rispetto. Quello stesso senso di rispetto che cresce in chi, non solo una volta, ma magari per una vita intera, in un’esistenza ideale, si reca in montagna».
Ci si concilia pienamente con la natura, insomma.
«Sì, perché anche gli alpinisti estremi, compreso il più pazzo di loro, quando compiono le loro straordinarie imprese, non distruggono mai la montagna. Anzi, la rispettano sempre al massimo».
Manca il rispetto alla nostra civiltà?
«La guerra in corso ci fa comprendere che il tentativo dell’umanità di comportarsi “meglio” di quanto fatto in passato – ad esempio riducendo l’uso delle fonti di energia fossile e dei minerali preziosi e rari – è già svanito, crollato, dimenticato».
Evidentemente non abbiamo tratto alcuna lezione nemmeno dall’emergenza sanitaria…
«La pandemia avrebbe dovuto convincerci definitivamente circa il fatto che soltanto lavorando tutti insieme possiamo salvare la nostra specie. Non la Terra, che sopravviverà comunque».
E dire che gli esempi nella storia non mancano…
«Alexander von Humboldt lo aveva già capito nell’Ottocento: l’umanità non può continuare a sfruttare la natura senza porsi limiti».
La sua soluzione?
«Dobbiamo fermarci, anche se ciò costerà sacrifici. E poi dobbiamo attuare politiche decise, mettere in atto azioni mirate. Invece, solo per fare un paio di esempi, non sento dire nulla sulla necessità di contenere gli assurdi consumi di energia elettrica e di acqua che vengono effettuati dalla nostra “civiltà”. Nemmeno ora che il Nord Italia è afflitto da una grave siccità che, peraltro, determinerà gravissime conseguenze già in estate».
Da dove si inizia?
«Si tratta principalmente di fermarsi e sostenere dei sacrifici, come li ho definiti; in realtà, significa semplicemente vivere in maniera più sobria».
Dalla teoria alla pratica però…
«Certo, si tratta di qualcosa di più facile per chi vive a stretto contatto con la natura; meno, invece, per chi abita nelle grandi città, dove ormai intere generazioni sono cresciute senza conoscere molte “fatiche” e “difficoltà”, come quella di procurarsi l’acqua. Ed è soltanto un esempio, banale ma fondamentale. Sono cose che si imparano subito quando ci si trova nelle valli del Nepal o del Tibet…».
Dopo le difficoltà, si intravede però la cima della montagna? Cosa prova lassù?
«La necessità e la voglia di scendere…».
Pensa di aver raggiunto la “vetta” più importante nella sua vita? Si sente realizzato?
«Io sono ciò che faccio. Anche se con l’inizio della vecchiaia devo imparare a vivere con gioia questo nuovo periodo dell’esistenza, la mia meta più importante resta sempre la prossima. Sono contento di aver vissuto e di vivere provando a realizzare i miei sogni».
E dopo la vita, secondo lei, cosa troveremo?
«Ognuno ha una propria visione su questo, ha una propria idea. Io, pensando alla dimensione spazio-tempo, ritengo che si entri in un altro mondo. Quando si è in vita il tempo lo si può contare in anni, mesi e giorni e, con l’orologio, anche in ore, minuti, secondi, mentre dopo la morte il tempo diventa zero, o infinito. Che poi è la stessa cosa. Cambia solo questo fatto: la relazione spazio-tempo si capovolge».
Quindi non è religioso?
«Io rispetto tutte le religioni, ma è evidente che tutte sono state inventate da cervelli umani, seppure in momenti diversi. Gli indiani, ad esempio, fanno le offerte a migliaia di dei: sono figure frutto della fantasia umana. Ma con questo non nego la possibilità che possa esserci, nella natura, una forza superiore».
Chiudiamo con il Monviso. Per noi è il Re di Pietra. Per lei?
«Non ho mai salito il Monviso, ma l’ho visto e ammirato da ogni direzione. È la montagna “chiave” da qualsiasi punto del Piemonte lo si osservi. Capisco bene perché sia così tanto amato. È stato importante anche per la storia del nostro alpinismo, con la salita di Quintino Sella che portò poi alla nascita del Club Alpino Italiano. Dopo l’appuntamento di Lagnasco, sono stato invitato a recarmi a Ostana: sono contento di poter andare ad ammirare il Monviso da vicino».