«In campo e nella vita noi donne sappiamo costruire insieme»

L’allenatrice della Nazionale di calcio femminile Milena Bertolini spiega a IDEA come vincere pregiudizi e stereotipi: «Non bisogna mai rinunciare alle proprie passioni»

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Milena Bertolini, allenatrice della Nazionale di calcio femminile, non è solo il simbolo di un movimento in forte crescita, ma è l’emblema di un mondo, quello delle donne e, specialmente, di quelle che praticano sport, stufo di dover combattere contro stereotipi e pregiudizi. Per accendere i riflettori su questa cultura maschilista non ancora del tutto superata ha pure curato la pubblicazione di un libro scritto da un autore anonimo, dal titolo provocatorio: “Gio­care con le tette”. Domani, ve­nerdì 25 mar­zo, lo presenterà a Serra­lunga d’Alba, al pubblico della Fonda­zione E. di Mirafiore, nel­l’am­bito del Laboratorio di Resi­stenza Permanente.

Bertolini, iniziamo dal libro…
«“Giocare con le tette” è una frase che noi donne legate al mondo del pallone ci siamo sentite ripetere spesso… Il calcio, soprattutto in Italia, viene considerato ancora come uno sport quasi esclusivamente maschile. Ma noi non ci stiamo e continuiamo a portare avanti la no­stra passione, in barba ai pregiudizi e agli stereotipi».

C’è ancora troppo maschilismo in Italia?
«Nel mondo del calcio, effettivamente, permangono pregiudizi nei confronti di noi donne, ma in altri ambiti si sono fatti grossi passi avanti. Penso al settore dell’imprenditoria oppure a quello della cultura…».

Cosa fare per invertire la tendenza a ogni livello?
«Occorrono, prima di tutto, decisioni politiche. Chi ha ruoli decisionali e di governo deve compiere scelte capaci di andare oltre, di cambiare. La Fede­razione lo sta facendo da qualche anno».

Qualche esempio concreto?
«Servono investimenti e progetti di sviluppo mirati, occorre creare scuole calcio, fare formazione nelle scuole (ma non solo), elevare il livello di gioco, proporre competizioni avvincenti, creare modelli di riferimento positivi per le ragazze, potenziare gli impianti. Insomma, sono necessari interventi a 360 gradi. Nel mio piccolo, da allenatrice, lavoro proprio in questa direzione, ovvero cerco di far crescere la passione nelle ragazze e di far sì che loro possano esprimere un calcio sempre più coinvolgente».

Siamo sulla buona strada?

«I miglioramenti si vedono, ma serve tempo. Il fatto che una ra­gazza pratichi sport deve di­ventare la normalità. In questo senso, tutti possono dare un contributo, non solo la politica. È giusto che si sentano responsabilizzati anche i club, i dirigenti, gli allenatori…».

La sua Nazionale, che ai Mondiali francesi del 2019 ha entusiasmato, è un altro bel veicolo di promozione…
«La Nazionale sta crescendo e migliorando giorno dopo giorno. Grazie alla collaborazione e alla sinergia con i club si sta sempre più avvicinando al livello delle Nazionali già al top, ossia quelle del­l’America, del Nord Europa e del­l’Asia, che da decenni investono nel calcio femminile…».

Qual è il divario da colmare?
«Le nostre ragazze partono svantaggiate dal punto di vista calcistico sostanzialmente perché hanno avuto meno opportunità rispetto ad alcune colleghe estere che magari hanno iniziato ad allenarsi in modo strutturato e potendo contare su staff e im­pianti professionali già intorno ai 10-11 anni, mentre qui da noi, fino a poco tempo fa, accadeva solo attorno ai 20 anni».

Come sta la Serie A femminile?
«Come per la Nazionale, siamo in una fase di passaggio. Ora le squadre professionistiche ma­schi­li sono chiamate ad allestire una propria compagine femminile. E così il movimento sta crescendo. Il Campionato, di anno in anno, diventa più competitivo, ma serve ancora un po’ di tempo…».

Il suo coach di riferimento?
«Cerco di prendere il meglio da ciascun allenatore. Amo molto il gioco espresso dal Barcellona di Guardiola e, in generale, mi piace la sua filosofia di calcio, che è molto vicina al mio modo di pensare ed è particolarmente adatta alle caratteristiche delle giocatrici della Nazionale».

È un’esteta, insomma…

«Più che altro desidero che le squadre da me allenate possano mo­strare qualcosa di bello! Ma non mi limito a questo…».

Il calcio come un qualcosa che va oltre il risultato sportivo.

«Esatto, il calcio, ma vale per tutti gli sport, non è solo una questione tecnico-tattica, ma anche e soprattutto di relazioni. E su questo fronte Carlo An­ce­lotti è il numero uno. Ov­via­mente è un bravissimo allenatore dal punto di vista prettamente tecnico-tattico, ma nel cam­po del rapporto umano con i suoi atleti, i suoi collaboratori, i suoi colleghi e il pubblico ha decisamente qualcosa in più degli altri. E per questo lo ammiro».

Insomma, il vostro è un me­stiere complicato…
«Servono capacità di analisi e autocritica, oltre che una preparazione totale su diversi aspetti».

Tra il Mondiale con la Na­zio­na­le, la Champions con un club o la panchina di una squadra top ma­schile cosa sceglie?

«Adesso gli obiettivi sono fare bene gli Europei con la Na­zionale e fare crescere sempre di più il movimento calcistico femminile italiano. Poi, quello che sarà sarà… Anche perché, come ogni tecnico, amo confrontarmi sempre con situazioni stimolanti e, possibilmente, lasciare un segno…».

Sarà ospite nelle Langhe: le conosce?

«Ne ho sentito parlare molto e bene, ma non le ho ancora visitate. L’incontro in Fondazione Mirafiore sarà l’occasione…».

Se le chiedessero di indicare le migliori qualità delle donne cosa risponderebbe?

«In campo calcistico, le qualità principali sono l’armonia e l’eleganza delle giocatrici. In generale, le donne hanno la capacità di “unire” grazie al loro pensiero “circolare”. Sanno “costruire insieme”. Alla luce di questa sensibilità e di questo pensiero, se ci fossero più donne a governare avremmo anche meno guerre…».