La lectio magistralis che ha preceduto sabato scorso, al teatro Sociale “G. Busca” di Alba, la premiazione dei vincitori del Certame Fenogliano è stata tenuta da Valter Boggione, originario di Monforte, professore ordinario di letteratura italiana all’Università di Torino. Nei suoi studi si è occupato di poesia secentesca, Manzoni, Tommaseo, Gozzano, i crepuscolari e di questioni legate all’intertestualità letteraria. Nell’ambito della storia della lingua ha pubblicato, tra gli altri, il Dizionario storico del lessico erotico italiano e il Dizionario dei proverbi. Nella sua lezione albese Boggione, analizzando il racconto “Pioggia e la sposa”, oggetto del certame, ha evidenziato come negli scritti di Fenoglio la realtà quotidiana assuma spesso una dimensione epica per arrivare a mostrare l’impossibilità per gli esseri umani di raggiungere anche solo una minima felicità. Un concetto quanto mai presente ai giorni nostri.
Professore, secondo Lei perché Fenoglio è così attuale?
«Naturalmente perché è un grande scrittore e come tale ha la capacità di farci vedere il mondo in un’ottica diversa. In un’epoca di crisi delle certezze e di sfiducia nelle possibilità dell’uomo come quella nostra, i suoi testi propongono un modello etico forte e la certezza di valori dominanti. Per questo è un autore capace di parlare con grande efficacia ai giovani».
L’analisi del testo fenogliano da parte dei partecipanti al Certame, le ha fatto scoprire qualcosa che non sapeva dello scrittore albese?
«Analizzando gli elaborati degli studenti qualcosa di diverso si incontra sempre. Attraverso osservazioni acute i ragazzi hanno saputo applicare con intelligenza quello che avevano imparato, ponendo grande cura nella lettura del testo e motivando le loro osservazioni con citazioni testuali precise. Ho apprezzato il loro entusiasmo nell’affrontare questa sfida. Qualcuno arrivava da lontano, come lo studente della Basilicata che ha rimandato la sua partenza per poter partecipare al trekking in Alta Langa. Un piccolo gesto che parla del clima di condivisione intensa che si è creato in questi giorni».
Lei è un docente di letteratura italiana all’università ed è stato per anni insegnante di liceo. Spesso si dice che sia importante studiare la storia per non commettere gli errori del passato, quasi si volesse sottolineare una valenza pratica. Perché, invece, è importante approfondire la conoscenza della letteratura?
«Non credo nei fini pratici immediati perché se guardiamo all’attualità capiamo che l’esito tangibile dell’avere studiato per anni storia non è poi un granché… Penso che lo scopo dello studiare letteratura sia innanzitutto permetterci di cambiare qualcosa dentro di noi. Se la storia permette di conoscere meglio l’essenza dell’uomo, la letteratura è la chiave per un approfondimento sull’animo umano. Il grande dono della letteratura è infatti quello di permetterci di vedere il mondo in un modo nuovo, vivendo non soltanto la nostra vita, con tutti i suoi limiti, ma anche la vita degli altri ed entrando così in contatto profondo con realtà diverse dalla nostra. Raggiungendo il cuore delle esperienze altrui, di fatto, cambiamo noi».
Ci spiega meglio?
«Se noi non avessimo letto le pagine di Beppe Fenoglio non vedremmo le Langhe come le vediamo oggi. Il suo sguardo ha cambiato per sempre il nostro modo di percepire la terra intorno a noi. Questo mi sembra un regalo meraviglioso».
Leggere ci cambia, quindi.
«Sì. Ci rende diversi, ci rende capaci di guardare l’universo da un’angolazione differente perché abbiamo vissuto sensazioni che da soli non saremmo riusciti a sentire. E se questo lento cambiamento ci aiuta a diventare più uomini, cioè più capaci di osservare con precisione il mondo intorno a noi, allora la letteratura ha decisamente un’utilità pratica, seppur indiretta».
Lo sguardo di Fenoglio si posava sulle Langhe della Malora, come vede le Langhe attuali, tra viaggi enogastronomici e crescenti monoculture?
«Capisco le ragioni del turismo e non mi sento di condannarle, nello stesso tempo credo che l’inevitabile sviluppo, che qui è stato tumultuoso, avrebbe bisogno di essere governato per conservare al meglio l’anima tradizionale dei luoghi. Io, pur vivendo a Monforte, sono intimamente legato all’Alta Langa dove sento una più forte presenza del passato e dell’individualità di questa terra. Se si eccede nell’omologazione, al contrario, il rischio è quello di perdere la propria riconoscibilità».
Ci ha raccontato che leggere modifica la nostra vita. Quali sono i libri che hanno cambiato la sua, di vita?
«Fenoglio a parte, citerei “Il giardino dei Finzi Contini” di Giorgio Bassani, le poesie di Guido Gozzano e soprattutto “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, un testo che mi ha segnato profondamente».
È il libro più citato da parte dei molti che non lo hanno mai letto…
«È vero ma credo che, in realtà, anche chi non lo ha letto sia stato influenzato indirettamente dalla “Recherche” perché i temi lì contenuti hanno permeato in modo definitivo il punto di vista del mondo occidentale. Mi spiego meglio. Il concetto di “madeleine” che richiama i ricordi, la dimensione del tempo, il ruolo dell’abitudine, il senso della gelosia, fino a certi meccanismi che regolano le storie d’amore sono descritti qui in modo magistrale e sono stati ripresi in narrazioni successive così spesso da essere ormai parte del nostro modo stesso di pensarli».
Un testo controverso, però.
«È vero, Umberto Saba ne diede un giudizio sferzante. Scrisse “tutta la Recherche è un unico, sublime, ininterrotto pettegolezzo”, credendo di distruggerlo».
Invece?
«In qualche modo, invece, aveva ragione perché tutta la letteratura è in fondo una forma alta di pettegolezzo. Leggendo, infatti, non solo viviamo la vita di altri – come accade quando ci raccontiamo le vicende altrui a voce – ma ne diventiamo partecipi in modo attivo, contribuendo addirittura a crearla nei dettagli usando la nostra fantasia. Quindi dire che la letteratura è un sublime pettegolezzo, non mi sembra un insulto bensì una sintesi acuta che sottolinea un interessante punto di vista».