Roman Abramovich, attraverso un suo portavoce, ha confermato l’indiscrezione del Wall Street Journal: nella notte fra il 3 e il 4 marzo, dopo un incontro per la pace a Kiev con i negoziatori ucraini, ha accusato sintomi riconducibili a un sospetto avvelenamento: occhi rossi, lacrimazione dolorosa e desquamazione della pelle delle mani. Effetto, secondo gli esperti, di un agente chimico, forse cloropicrina, usata però a basso dosaggio con il fine di spaventare e non di uccidere. «Voci che fanno parte del sabotaggio e della guerra dell’informazione» protesta il portavoce del Cremlino, ma è inevitabile riepilogare i tanti casi di avvelenamento che hanno coinvolto, nel tempo, oppositori di Mosca o personaggi comunque scomodi o invisi, e certo Abramovich è in rotta con Putin, al quale pure era assai legato: convinto che lo zar si sia cacciato in un vicolo cieco invadendo l’Ucraina e scatenando la guerra, fa di tutto per farlo tornare sui suoi passi, magari anche sovrapponendo all’ideologia interessi personali, ché da quando è scoppiata la crisi anche il suo impero perde milioni.
Certo, la partecipazione ai negoziati e il sospetto avvelenamento allargano l’aura di mistero che circonda l’oligarca venuto fuori dal nulla, cresciuto con gli zii, e con brevi periodi in orfanotrofio, avendo perso la mamma a due anni e il papà, ucciso in un quartiere edile, a quattro, soldato per un poco nell’esercito sovietico, veditore di sigarette al mercato nero, commesso in un negozio di giocattoli e, negli anni Ottanta, imprenditore scaltro a sfruttare le agevolazioni economiche previste dal presidente Gorbaciov nell’ambito delle privatizzazioni. Entrato nel commercio del petrolio, ha scalato gerarchie industriali finanziarie, fino ad accumulare un patrimonio superiore ai 13 miliardi di dollari.
Leggenda, sempre smentita, narra che tutto cominciò con l’appropriazione, attraverso documenti falsi, del carico d’un treno che trasportava carburante diesel del valore di quasi 4 miliardi di rubli. Si tramanda anche un arresto, ma l’ambiguità è il prezzo di tutti i tesori costruiti troppo in fretta, ingloba aste truccate e alleanze politiche equivoche, rovine altrui tramutate in fortuna, cinismo, spietatezza, mancanza di scrupoli. Abramovich ha cittadinanza israeliana, lituana e portoghese, tre divorzi alle spalle e sette figli, è impegnato nella politica e nello sport: il suo Chelsea, acquistato nel 2003, ha vinto 22 trofei, compresi 5 campionati inglesi e 2 Champions. Soltanto adesso, proprio a causa dei rapporti con Putin, ha dovuto defilarsi, affidando la gestione alla Charitable Foundation del club. Ha tentato di fermare l’amico Vladimir, è finito al centro di un giallo. Se i sospetti sono giusti ha sfiorato la morte, ma non demorde e porta avanti i negoziati. Sa quel che vuole, sa essere spavaldo. Raccontano che da ragazzo squattrinato, se gli chiedevano cosa volesse fare, rispondeva «Comprare il mondo». Raccontano anche che il proprietario del negozio di giocattoli gli chiese una volta, scherzando, d’essere considerato per un posto da giardiniere quando sarebbe diventato ricco: anni dopo si trovò senza lavoro e scrisse davvero ad Abramovich per essere assunto. Nessuno, però, ha mai risposto a quella lettera.
Storia di Roman
Ritratto di Abramovich, mediatore per la pace che si teme sia stato avvelenato: da orfano povero a ricchissimo uomo d’affari, l’ultimo atto di una vita avvolta da misteri, avventure e sospetti