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«Tutto è cominciato con le lime svedesi»

La storia di Ferramenta Briatore, datata 1885: «Così mio nonno riuscì a superare la guerra»

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Cinque generazioni, un negozio, inserito profondamente nella storia di Mon­­dovì. La Ferramenta Bria­tore si affaccia su corso Sta­tuto, nel cuore della città, dal 1917, anno in cui Giovanni Briatore, il capostipite di un’idea destinata a durare nel tempo, acquista quello che era un vecchio locale, lo trasforma in negozio e vi pone sede della propria attività di vendita al minuto di materiale di ferramenta. Ma l’attività dei Briatore parte da ancora più lontano: una storia di tradizione ed evoluzione che ci ha raccontato Ugo Leonti, un ragazzo del 1988 che ha ereditato la bottega di famiglia e la porta avanti con entusiasmo e dinamismo.

Come nasce l’attività?
«L’avvio della ferramenta risale al 1885: allora il mio avo, che già era titolare di una forgeria a Mondovì, dismise l’attività di produzione di ferro concentrandosi sugli articoli di minuteria. Quindi, abbandonò l’attività di produzione e di artigianato, dedicandosi esclusivamente al commercio».

Un’attività, due guerre?
«Sì. Mio bisnonno morì all’età di 50 anni, per un certo periodo il negozio lo portò avanti mia bisnonna e mio nonno affiancò la madre nell’attività di gestione. Arrivò la Seconda guerra mondiale, mio nonno, essendo figlio unico di madre vedova, non partì per il fronte. Iniziarono i tempi duri».

Perché?
«Con la guerra il lavoro era ridotto a zero. Un modo per sopravvivere era il baratto di quanto c’era in negozio con generi alimentari di prima necessità. Così a fine guerra gli scaffali erano vuoti. Mio non­no non si perse d’animo: prese gli ultimi risparmi che aveva, andò a Torino un po’ in treno, un po’ chiedendo passaggi ai carri in transito… e a Torino acquistò, da uno dei grossisti di riferimento, una scatola di lime svedesi, l’unica cosa rimasta vendibile».

Perché proprio svedesi?
«Arrivavamo dal periodo di autarchia, si vendeva solo materiale italiano. Che però era scadente. Chi lavorava aveva bisogno di qualità: le lime svedesi erano le migliori. Le 24 che mio nonno acquistò furono “bruciate”. Col ricavato tornò a Torino, acquistò altro materiale, e il negozio ripartì, arrivando preparato al boom della ricostruzione post bellica».

Arriviamo quindi alla generazione successiva. Un’altra svolta?

«Mia madre scelse la via dell’insegnamento. Ma a mio papà, Piergiorgio Leonti, la ferramenta piaceva molto. E dal 1979 affiancò mio nonno, che abbandonò nel 1991, ben oltre l’età della pensione. Mio padre ebbe occhio nell’introdurre la duplicazione delle chiavi: un mercato complicato ma molto promettente. Iniziò con una prima macchina per i duplicati più semplici, ed arrivò a quelli di chiavi elettroniche codificate. È sempre stato al passo coi tempi. Introdusse poi i primi articoli per la casa, pentole in rame stagnato, oggettistica selezionata, prodotti di qualità made in Italy».

Lei quando ha iniziato?
«Inizialmente, da adolescente, l’idea del negozio non mi piaceva. Vedevo i miei amici uscire mentre io collaboravo saltuariamente all’attività di famiglia. Ma in fondo, il negozio era il centro della nostra vita. A casa se ne parlava sempre. Ho studiato da geometra, avrei potuto esercitare la libera professione, ma nel 2015, con mio papà prossimo alla pensione, complice anche la crisi dell’edilizia, scelsi il negozio».

Tornerebbe indietro?
«Assolutamente no. Oggi sono entusiasta. E finché ci sono entusiasmo, volontà di innovarsi, crescere e soddisfare il cliente significa che le cose funzionano».

Ha cambiato il concept del negozio?

«Sono partito dalla considerazione che il fai-da-te si è molto ridotto. Ho affiancato altri comparti, ampliando la duplicazione chiavi, investendo su nuovi macchinari, acquisendo molti più pezzi grezzi: oggi a magazzino sono 5.600. In più ho aperto ai casalinghi e all’oggettistica, con un rapporto più diretto con marchi di grande qualità; e ho puntato sulla profumazione ambienti, un mio hobby e una mia passione. Il tutto grazie a papà, che mi ha as­secondato, lasciandomi mol­­ta libertà di scelta».

Ma la ferramenta?

«Quella resta. È il core business aziendale, da sempre. Il nostro nome, “Ferramenta Briatore”, non cambierà mai. È quello con cui da oltre cent’anni a Mondovì la gente ci conosce. Il legame col passato è fondamentale».

Il lavoro, però, è cambiato?
«Una volta ci si dedicava anima e corpo. Oggi meno. Mio bi­snonno abitava sopra il negozio, ogni momento era buono per ricevere un cliente. Ecco, quella forma mentale è stata comunque un’eredità importante, per tutti noi che facciamo i commercianti: a volte succede che le giornate abbiano una svolta in prossimità dell’orario di chiusura, o anche oltre…».

In un contesto dove si sono inseriti grande distribuzione ed e-commerce, che futuro vede per il piccolo commercio?
«Non li vedo come antitetici. Chiunque acquista alla grande distribuzione ed online, sarebbe sciocco negarlo. Ma noi abbiamo un valore aggiunto: il fatto che io sia qui, ad aiutare i clienti nella loro scelta, offrendo la mia esperienza, studiando, aggiornandomi costantemente, orientando il cliente verso il prodotto migliore e verso la qualità. Ci sarà sempre bisogno di un negozio, fisico, a cui il cliente potrà rivolgersi di persona, per soddisfare appieno i suoi bisogni».