Vinitaly ha appena chiuso i battenti mentre Vinum è alle porte. Questa primavera ha visto tornare, dopo due anni di stop, i più attesi appuntamenti dedicati al settore enologico. Luoghi dove produttori italiani e stranieri si incontrano, si raccontano, si influenzano a vicenda. In questo settore in cui i primi maestri rimangono spesso indimenticati, ci sono storie che attraversano gli oceani per mettere le radici dall’altra parte del mondo. Come quella di Robert Gherardi, australiano, che si è portato nel bicchiere un po’ di Piemonte.
Robert, ora produce apprezzati Chardonnay a Margaret River, in Australia, ma la sua passione per il vino inizia nelle Langhe. Come è andata?
«Dopo aver terminato i miei studi all’università, a venticinque anni, ho deciso di venire a formarmi in Italia, terra di origine della mia famiglia paterna. Molti australiani si recano in Francia ma io ho sentito il richiamo dei miei antenati in Valtellina dove ero stato solo una volta da piccolo. Dopo alcune ricerche mi ha contattato un produttore di Barolo che mi proponeva di partecipare alla vendemmia, era il 2009. Fui così entusiasta che non solo tornai anche l’anno dopo ma, prima di partire, chiesi se ci fosse la possibilità di essere assunto per un impiego a tempo pieno. L’opportunità si presentò un paio di anni più tardi e così io, mia moglie Kellie e le mie figlie Lily e Daniella di tre anni e 18 mesi ci trasferimmo a Monforte».
Dalle coste australiane ad un paesino arroccato in cui si parla volentieri piemontese: fu uno shock culturale?
«Non troppo in realtà. Abbiamo amato il Piemonte follemente da subito, bello vivere in un posto in cui il panettiere ti chiama per nome, il macellaio è tuo amico e tutte le vecchiette salutano le tue figlie… Quando, dopo oltre un anno, abbiamo deciso di tornare in Australia ci siamo accorti di sentire tutti una grande nostalgia così abbiamo fatto in modo di poter trascorrere da voi almeno due o tre mesi ogni anno. Tra cibo spettacolare, vino incredibile e panorami sempre diversi è davvero in posto di cui ci si innamora facilmente».
Cosa vi manca, invece, dell’Australia quando vivete qua?
«Prima di tutto la nostra famiglia e gli amici di sempre. Un aspetto che trovo interessante della nostra nostalgia è che ci manca tanto l’oceano. In Australia più del 95 per cento della popolazione vive a meno di 20 km dal mare. Da Margaret River siamo a pochi minuti dalla spiaggia… Vivere all’aria aperta è una componente così essenziale del modo di vivere australiano che a questo aspetto proprio non vogliamo rinunciare. So che dalle Langhe la costa è a un’ora di auto ma il Mediterraneo è un mare chiuso, diverso. A noi mancava l’oceano. Ma in Piemonte non ci siamo fatti mancare nessun tipo di esperienza, dagli sci fino all’andare a caccia di porcini, fino al cucinare il cervo in Alta Langa. I miei amici dicono che quando racconto del nostro periodo piemontese parlo sempre di tavole imbandite e bicchieri pieni! È una materia che mi affascina, imparare a conoscere un territorio e la sua gente assaggiando, mangiando e bevendo insieme è parte della mio modo di vivere. Le Langhe sono il posto perfetto per le storie e le tradizioni culinarie ma mi colpisce anche la voglia di nuovo e la curiosità che le anima».
Cosa rende invece opposte le Langhe e l’Australia?
«Lo spazio. Lì i paesini sono tutti vicini e collegati. Qua abbiamo spazi immensi e siamo in pochi, da noi un luogo a due o tre ore di aereo è considerato vicino… Mi manca il Piemonte, in autunno farò volentieri qualche ora in più per venire ad assaggiare il tartufo bianco».
Una volta tornati in Australia, ha aperto la sua cantina dove producete vini apprezzati da clienti e critica, sotto un nome di fantasia che strizza l’occhio alla nostalgia dell’Italia con una crasi tra le parole Bar(olo) e Val(tellina). Il fatto di aver avuto questi contatti stretti con produttori di Barolo e di aver vissuto lunghi mesi qui, entrando nella mentalità langarola, in che modo ha forgiato il suo modo di fare il vino?
«Dal punto di vista tecnico l’aver sperimentato in prima persona quello che avviene in vigna e poi in cantina nelle vostre zone ha avuto senza dubbio una profonda influenza in me. Non solo grazie ai produttori con cui ho lavorato ma anche grazie alle molte visite in altre cantine, alle degustazioni, ai discorsi con i vignaioli che coltivano da decenni con passione le loro uve ho interiorizzato una certa filosofia. Un modo di affrontare le decisioni cruciali in cantina. Il mio modo di fare vino in Australia discende al cento per cento dalla maniera che ho visto mettere in pratica nella zona del Barolo e che applico ai nostri vini di maggior prestigio, il Cabernet Sauvignon, tra i rossi, e lo Chardonnay, tra i bianchi. E i clienti stanno iniziando a confessarmi che che il mio Chardonnay è riconoscibile e diverso da tutti gli altri perché esprime al meglio il terroir tipico di Marger River. Proprio come si comporta il Barolo dei diversi cru».