Isolati per scelta «Ecco come aiuto gli hikikomori»

Marco Crepaldi, ospite al recente TEDxCuneo, è il fondatore del sodalizio che sostiene chi abbandona la società e si rifugia a casa: «Bisogna sempre parlarne»

0
242

Tra le 120 e le 150­mi­­la. Questo è, se­con­do alcuni recenti studi, il numero di persone che oggi, in Italia, possono essere considerate hikikomori. Ma chi sono? Si tratta di individui affetti da un malessere psichico – sempre più diffuso nella società mo­derna – che li spinge a isolarsi dalla vita sociale. Per conoscere a fondo questo fe­no­meno sociale abbiamo colloquiato con Marco Cre­paldi, psicologo e tra i massimi esperti di questa condizione in Italia, nonché fondatore di Hikikomori Italia, la prima as­sociazione che si occupa quotidianamente di informare sul tema, aiutando gli individui coinvolti e le loro famiglie.

Crepaldi, dovesse riassumere in poche parole chi sono gli hikikomori?
«Hikikomori è un termine giapponese, che significa letteralmente “stare in disparte”. L’hikikomori è un individuo, spesso giovane ma in ca­si sempre più crescenti anche adulto, che si isola più o me­no volontariamente dal­la so­cietà, rifugiandosi nella zo­na di comfort dell’ambiente do­me­stico. Le cause di questa scelta sono molteplici e di difficile diagnosi».

Molti riconducono questo fe­nomeno all’abuso di tecnologia. È corretto?
«Direi di no. I motivi di questo atteggiamento sono in primis riconducibili all’aspetto caratteriale del singolo individuo, spesso timido, ma si me­scolano ad aspetti famigliari e scolastici – nel caso dei più giovani -, oltre che sociali. La tecnologia, semmai, è un elemento acceleratore».

In che senso?
«Nel senso che gli strumenti tecnologici non hanno fatto altro che contribuire ad ingigantire alcune delle principali pressioni che sono all’origine dell’hikikomori. La società de­gli ultimi decenni, anche pri­ma dell’avvento di Inter­net, si è fatta sempre più esigente e competitiva. Chi non si riconosce in essa o si sente “sconfitto” finisce per isolarsi. Le piattaforme online e, su tut­te, i social network, hanno alimentato questa tendenza, essendo spesso delle vetrine in cui ci si confronta e si è spesso soggetti a giudizio e isolamento».

Perché ad esserne colpiti so­no soprattutto i giovani?
«Almeno per due ragioni. In primo luogo, perché la scuola rappresenta il contesto perfetto in cui confronto e giudizio prendono il sopravvento. La competizione tra adolescenti è molto alta e chi non è in grado di reggerla finisce per isolarsi. In seconda battuta, perché, in determinate società, il giovane è coccolato e mantenuto nella sfera famigliare e, quindi, può “permettersi” un isolamento totale, senza rischi per la propria sopravvivenza».

Quanto si è consapevoli di questo fenomeno in Italia?
«Lo si sta scoprendo sempre di più. I numeri dimostrano che i casi sono aumentati a dismisura negli ultimi anni. Ovviamente, un peso non indifferente lo ha avuto il co­ronavirus. Nel biennio 2020-2021, per via delle nor­mative sanitarie, l’isolamento casalingo è stato “legittimato”, spingendo chi già propendeva a rifugiarsi all’interno delle mura di casa a farlo in modo duraturo. Ecco perché, spesso, non ci si è resi conto che stavano nascendo dei nuo­vi casi».

Dov’è maggiormente diffuso?
«La sua origine è giapponese, perché là i casi sono tanti da tempo e hanno ormai superato il milione. Nel nostro Paese, invece, sono abbastanza distribuiti in tutte le regioni, anche se sicuramente so­no di più al Nord. È difficile individuare una sola causa di questa concentrazione, ma credo che il motivo si possa ricondurre a quanto detto prima, ovvero: le regioni del Nord sono mediamente più ricche e l’individuo hikikomori ha ge­nericamente una situazione economica famigliare alle spalle che gli permette di isolarsi e, sostanzialmente, di es­sere mantenuto».

In questo senso, l’associazione Hikikomori Italia come può essere d’aiuto?

«Il nostro principale obiettivo è quello di informare e sensibilizzare su un tema che, co­me abbiamo detto, è sempre più pervasivo nella nostra società. In seconda battuta, at­­traverso i nostri canali online e le molte occasioni in presenza, cerchiamo di fornire uno spazio di incontro e confronto tra le persone colpite e le famiglie coinvolte».

In provincia di Cuneo, invece, avete contatti?

«La nostra rete è diffusa ovunque e i casi non mancano neppure qui. A margine del mio intervento al TEDxCuneo, ad esempio, ammetto che molte persone, soprattutto genitori, mi hanno parlato e mi hanno scritto per chiedermi indicazioni e consigli».