Una carriera contraddistinta dall’attenzione alle questioni economiche e finanziarie, sottolineata dal recente incarico di direttore del nuovo quotidiano Verità & Affari. Abbiamo chiesto a Franco Bechis un’analisi del delicato contesto attuale.
Direttore, come possiamo definire lo scenario economico in tempi di guerra?
«Obiettivamente siamo in un periodo che ha pochi precedenti, dopo due anni di pandemia e ora la guerra. E si rischiano code non proprio brevi. Addirittura, a seconda degli equilibri di geopolitica, si potrebbe trasformare il modello economico a cui siamo abituati, quello della globalizzazione, stravolto dalle conseguenze della guerra. Dipende da cosa sceglierà la Cina. Se questa guerra porta a dividere di nuovo il mondo in due, come sembra, di certo la globalizzazione è finita. Quindi si dovrà costruire su altri modelli. E allora sì, l’economia riveste un ruolo fondamentale in questo momento».
Il suo giornale, Verità & Affari, segue con attenzione il mondo delle Pmi che caratterizza anche il territorio di Alba. Questo è un modello che può sopravvivere?
«Alba, come sappiamo, ha anche grandissime imprese come la Ferrero. Ma l’Italia è fatta in maggioranza – piaccia o no – di piccole e medie imprese. Per rendere l’idea stiamo superando il 70% delle imprese che hanno tra 3 e 9 dipendenti. Quindi parliamo dell’ossatura di questo paese, che fatica ad adattarsi a regole economiche e criteri di finanza pubblica studiati invece per una pluralità di paesi troppo distanti dal nostro».
Si riferisce al Pnrr?
«Alla vigilia della guerra sembrava la soluzione di tutti i problemi: finanziamenti a fondo perduto, ma in maggioranza a prestito che andranno restituiti. Un progetto disegnato su un modello europeo che corrisponde poco alla realtà dell’italia. Infatti quando l’Istat ha fatto, un mese e mezzo fa, l’indagine periodica sulle imprese italiane, tastandone il polso dall’inizio della pandemia, al capitolo del Pnrr, le risposte a “cosa vi attendete per il 2022?” sono state, per il 95%, “nulla”. E per gli anni successivi “poco”. Anche perché ci sono fondi vincolati alla transizione digitale che le imprese di queste dimensioni hanno già fatto. E la transizione energetica magari le danneggia: non sono soldi così utili al sistema produttivo italiano. Una riflessione andrebbe fatta. Se per la parte privata l’interesse verso i fondi del Pnrr è relativo, se il vincolo della transizione energetica è antistorico (parliamo di tornare al carbone per fare a meno del gas russo), allora un pensierino sul sistema, servirebbe. Va bene quei soldi servono, per esempio, alla macchina scassata della pubblica amministrazione, però parliamo di un debito che scarichiamo sulle prossime generazioni».
A proposito, vi siete occupati anche delle difficoltà crescenti, in Italia, per quanto riguarda rate e mutui.
«L’affanno di imprese e famiglie è evidente. Con redditi non alti e l’inflazione che pericolosamente ritorna, è chiaro che la capacità di spesa delle famiglie risulta compromessa, all’interno di regole già complicate anche dal cambiamento dell’assegno unico, che ha tolto tutte le detrazioni in attesa dell’accredito dall’Inps, mentre non è chiaro ancora quale sarà l’importo. E logicamente aumentano le difficoltà per rispettare le scadenze di rate e anche bollette».
Parlava di un modello economico a rischio: e se fosse un’opportunità di rinascita?
«L’economia si adatta sempre a nuove situazioni, ma da un lato la globalizzazione non ha aiutato. Le piccole e medie imprese hanno subìto di più con la Cina che ha un costo del lavoro inferiore e prodotti non di qualità, ma competitivi che hanno tolto quote di mercato. Magari potrebbero recuperare quote e resistere, senza gli effetti negativi della globalizzazione, poi è vero che sarebbero meno penetrabili i mercati delle aree non ostili alla Russia, ricche di materie prime di cui abbiamo bisogno, ma anche con molti svantaggi: diversificare le fonti è saggio, lo abbiamo capito, però quelli che possiedono materie prime in genere non sono stinchi di santo».
Lei ha conosciuto l’Umbria, una realtà per certi versi simile a quella delle Langhe?
«Come sempre, nella piccola e media impresa, ci sono picchi di genialità. In Umbria ricordo un’azienda piccola capace di creare il meccanismo per salire a bordo dei boeing diventando leader mondiale. La forza italiana è questa, abbina genio a qualità soprattutto artigianale. E poi credo che in Piemonte come in Umbria, l’industria alimentare e l’agricoltura siano grandi ricchezze. Ma in un contesto mondiale così complicato, tutto diventa più difficile».
Ha voglia di ricordare suo suocero, Lorenzo Mondo, l’intellettuale torinese che è mancato la scorsa settimana?
«Ho conosciuto mia moglie nel 1979, quando avevo 16 anni. Per me è stato un secondo padre. Gli piaceva insegnare: al mio nipotino, suo pronipote, aveva subito insegnato a leggere libri. Una delle ultime cose che ha voluto fare è stata portare nelle Langhe i miei figli, lo scorso settembre. Non tenevano il suo passo. Mia figlia era incinta del bimbo che ora è nato, il suo secondo, e faticava a tenere il passo del nonno che girava nei luoghi della memoria come una trottola. Ci chiamavano implorandoci di imporre al nonno una tregua. Però lui aveva questa passione, era affezionato a quelle terre. Così come era interessato a tutte le città che noi visitavamo. Ci chiedeva sempre: avete visto quel quadro, quella chiesa, il museo? Aveva un’immensa passione e faceva di tutto per trasmetterla a noi».
Lei è nato a Torino, che ricordo ha del Piemonte?
«Purtroppo aprile non ci è caro, l’anno scorso questo stesso mese ci ha portato via mia mamma, per il Covid, ed era ricoverata all’ospedale di Verduno. Negli ultimi giorni si trovava in terapia intensiva ma ho potuto vederla proprio perché si trovava in uno dei pochissimi ospedali che consentivano visite anche in quelle condizioni. Entravo equipaggiato come un astronauta nel reparto, ma così ho avuto la possibilità di tenerle la mano prima che se ne andasse. Il ricordo è molto triste, però è stata una piacevole sorpresa vedere un ospedale così attrezzato. Anche per la posizione: dalla finestra mia madre poteva guardare l’orizzonte sulle Langhe e ammirare i fiori sul prato. Una struttura straordinaria, credo anche per merito della famiglia Ferrero che ha donato attrezzature e macchinari che hanno reso l’ospedale efficiente, con un personale di grande qualità. A parte questo, a Torino ho due sorelle e torno appena posso, anche se il tempo è sempre poco nel nostro lavoro e i giorni di pausa sono pochi. Ma i legami di famiglia sono lì, ritorno con grande piacere e rispetto a un tempo vedo un’altra città. Il centro è più bello e vissuto. Negli anni ’80 vedere qualcuno in giro la sera era raro, sotto i portici si andava di fretta. Oggi la città rivive e attira turisti, non ne avevo mai visti a Torino quando ci vivevo. Rimasi sorpreso per la marea di gente che trovai a Roma. Fa piacere ora riscoprire una città così bella e attrattiva».