“Carlotta. The musical” è una fiaba in musica scritta da un americano innamorato di Alba, del buon vino di Langa, della cucina capitanata dal tubero unico al mondo. Il tartufo bianco, pregiatissimo frutto di quella “cerca” per cui è indispensabile un fiuto sovrumano. Temi e suggestioni confluite tutte in questa piccola opera che debutterà sabato al Teatro Sociale di Alba. Ne parliamo con Marco Berry, illusionista, autore e conduttore tv e, in questo caso, ospite e voce narrante.
Berry, chi è Carlotta?
«Carlotta è un cane, anzi una cagna da tartufo. È la protagonista dello spettacolo».
E chi la rappresenta? Intendo, c’è un animale in scena o un attore investito del ruolo?
«Veramente non lo so. Non me lo sono nemmeno chiesto perché sono curioso di vivere questa esperienza in diretta».
Lei come voce narrante sarà in scena o la voce è fuori campo?
«Sarò sul proscenio con funzione di narratore e commentatore. In questo senso entrerò nella storia con delle incursioni che arricchiscono e anticipano le curiosità dello spettatore».
Si è mai prodigato nella cerca del tartufo?
«Come no? È l’esperienza più bella che si possa fare con un cane. Il vero rapporto con il cane ce l’hai lì, quando tra il trifolao e il cane si stabilisce un’intimità tale per cui l’animale fa di tutto per soddisfare il padrone. Che poi non è giusto chiamarlo padrone perché il cane è proprio parte della famiglia. Il cane capisce quando hai bisogno di coccole e ti restituisce tutto l’amore che riceve».
Immagino che lei abbia un cane…
«Sì, un Golden Retriver di dieci anni, si chiama Bubble e gioca come un ragazzino».
Qual è il suo rapporto con le Langhe e il Monferrato?
«Ho una valanga di amici, alcuni legati al vino e altri no. La bellezza delle Langhe è indescrivibile, le colline sono un Paradiso. Bruno Ceretto, che è anche uno dei promotori di questo evento, è l’esempio di chi, se nasce in Langa, la vuole arricchire per restituirle tutto ciò che merita. E come si mangia e beve in Langa… da nessuna parte al mondo».
Il suo piatto preferito?
«Non ce n’è uno solo. Tutti gli antipasti della tradizione, dal vitel tonnet alle acciughe sott’olio. E poi i ravioli del plin, e la carne, la fassona è la carne più buona del mondo. Non c’è fiorentina che regga il confronto. La fassona si può mangiare cruda perché è fidata, controllata. Anche per questo le Langhe sono un avamposto della gastronomia: sostenibilità, tracciabilità, chilometro zero sono reali. Enrico Crippa, lo chef di Ceretto in piazza Duomo, ad Alba, è uno dei migliori. Non lo dico solo io, ma le classifiche».
Sa cucinare?
«Mi diverte molto e mi rilassa. So tirare la sfoglia col mattarello. Ho imparato da bambino guardando mia nonna che a Natale preparava la pasta per venti persone».
Veniamo al suo impegno umanitario. So che nel 2011 ha fondato una Onlus, la Marco Berry Magic for Children, che si occupa di aiutare i bambini dei paesi più poveri del mondo attraverso la costruzione di ospedali e il rifornimento di beni di prima necessità.
«Nel 2013 abbiamo terminato di costruire un ospedale pediatrico in Somaliland, una regione al nord della Somalia che trentacinque anni fa si è proclamata Stato indipendente, rifiutando la guerra. Si muore di fame, ma nessuno ti spara in testa. Una regione che ha il più alto tasso di mortalità infantile. Oggi quell’ospedale è autosufficiente, con medici formati e delle Ong di supporto. È l’unico ospedale pediatrico gratuito in tutto il Corno d’Africa».
E adesso di cosa vi state occupando?
«Tengo a segnalare il progetto Iron Mind dedicato ai minori con disabilità per avvicinarli alla pratica di uno o più sport abbattendo barriere di ogni tipo, mentali, economiche e logistiche».
Ci sono resistenze?
«A volte mi chiedono “quali sport sono più adatti” e io rispondo “chiedetelo a loro”. I limiti sono solo nella nostra testa. L’anno scorso abbiamo organizzato, a Fossano, al palazzetto dello sport, una giornata dedicata a cui hanno partecipato venti ragazzini impegnati in cinque sport diversi: basket, tennis da tavolo, scherma, tiro con l’arco, beach volley».
È vero che vuole essere il primo civile nello spazio?
«(ride). Ho affrontato una preparazione durata un anno, fisica e psicologica, per essere pronto nel caso arrivi l’occasione giusta. Ma quello che conta non è l’obiettivo ma il percorso che è stato fitto e ricco di insegnamenti».
Tipo?
«Ho imparato a pilotare un aereo, a lanciarmi col paracadute e ho migliorato l’inglese».
La sua passione per lo spazio lo ha portato a ideare lo Space Festival, dedicato alla divulgazione spaziale in Italia. È prevista l’edizione 2022?
«Dal 13 al 16 ottobre, a Torino. Ci saranno, tra gli altri, Maurizio Cheli, uno dei nostri sette astronauti, e Massimo Robberto, astigiano a guida del team di astrofisici del Centro Nasa di Baltimora che gestirà il super telescopio spaziale James Webb lanciato lo scorso 18 dicembre. Uno strumento che restituirà l’immagine dell’universo vicina al punto zero, al big bang».