Di fronte a un contesto sempre più incerto la tentazione è quella di aggrapparsi a delle ancore sicure o, comunque, di ricercare qualche momento di spensieratezza. Per migliaia di italiani questo “porto sicuro” si chiama Settimana Enigmistica. Abbiamo interpellato una delle sue anime, il condirettore Alessandro Bartezzaghi, enigmista di fama internazionale e, da qualche tempo, anche punto di riferimento su Facebook.
Bartezzaghi, sui social va oltre anagrammi e indovinelli. Perché?
«Sono abituato – per lavoro – a esprimermi con definizioni e frasi brevi. Sentivo il bisogno di aprire la mente e lasciare fluire il pensiero…».
Il pubblico dimostra di apprezzare.
«Racconto soprattutto ricordi della mia giovinezza, episodi vissuti con la mia famiglia, con mio nonno, con mio padre… E sa qual è la cosa più bella?».
Ce lo dica.
«Leggere nei commenti che i miei pensieri hanno risvegliato in qualcuno emozioni dimenticate. Ecco, credo che la mia funzione sui social sia quella: tenere vivo il filo con il passato».
Si è rotto questo filo? Ci siamo smarriti?
«In questo periodo i pensieri sono tanti: dalla pandemia alla guerra in Ucraina, dallo stato di salute del nostro Paese alla superficialità che emerge da alcune situazioni politiche, fino al fatto di non sentirsi adeguatamente rappresentati. Possono esserci tanti motivi di insoddisfazione».
Con la Settimana Enigmistica che soluzione proponete?
«La nostra rivista ha accompagnato generazioni di italiani; in molti casi è diventata un fatto di famiglia, una sorta di tradizione da tramandare di padre in figlio, di nonno in nipote. Alla luce di ciò e della nostra presenza capillare in edicole e supermercati, ci sentiamo come un’“abitudine rassicurante”».
Cosa ricercano i lettori?
«Desiderano – appunto – essere rassicurati, trascorrere un po’ di tempo con sé stessi, dimenticare i pensieri pesanti. Ma vogliono anche mettersi alla prova: risolvere un indovinello o un cruciverba accresce l’autostima, genera soddisfazione. E ne abbiamo tutti bisogno».
Un ruolo di responsabilità.
«La mia preoccupazione professionale più grande è quella di assecondare i nostri lettori nella ricerca dei loro attimi di felicità. Per questo cerco di prendere per mano il solutore e di accompagnarlo, casella dopo casella, verso la soluzione, senza mai farlo sentire frustrato».
E, in più, arricchite il bagaglio culturale.
«Ci proviamo. Prendiamo il caso del “fiume svizzero di tre lettere che forma il lago di Thun”: tutti – o quasi – ormai sanno che è l’Aar (ride, nda)».
Sono tanti i termini che avete fatto scoprire negli anni.
«Ci siamo sempre posti un duplice obiettivo: da un lato, far conoscere i vocaboli di nuova introduzione, dall’altro mantenere in vita quelle parole che, per svariati motivi, rischiano di scomparire».
Tra le “nuove entrate”, tante parole di origine inglese…
«La tendenza all’“inglesizzazione” – specie nell’ambito tecnologico – è marcata e va nella direzione di rendere l’italiano un linguaggio più “ampio” e internazionale. Rende bene l’idea uno dei termini più in voga in questo momento: mainstream. Oppure “mi brieffi” (da briefing) invece di “mi ragguagli”…».
Come giudica l’“inglesizzazione”?
«Non la giudico, mi limito a “registrarla” e, vista l’occasione, a commentarla. L’effetto più evidente è un linguaggio – in alcuni tratti – più sintetico e semplificato, oltre che privo di alcune sfumature».
Un esempio?
«Stanno scomparendo vocaboli come gridellino (una tonalità di grigio), bruma (sinonimo di nebbia), caligine (trasparenza ridotta dalla presenza di finissimo pulviscolo)».
Quali altre variazioni ha registrato?
«La scarsa longevità di alcuni termini o modi di dire, che tendono a sparire nonostante siano relativamente recenti. Penso a “mani pulite”, oggi quasi desueta, oppure ai nomi di quegli attori e musicisti che sono scesi in poco tempo dai palcoscenici».
La sua definizione di “linguaggio”?
«È uno specchio della realtà, capace di classificare ogni aspetto delle nostre esistenze. Noi enigmisti – che abbiamo il privilegio di giocare con le parole – siamo chiamati a trasmettere nei lettori lo stesso nostro divertimento, alimentando la curiosità».
È suo padre Piero ad averle trasmesso questa passione?
«A noi figli ha lasciato in eredità l’originalità nell’affrontare le cose. Quando eravamo bambini, ad esempio, non ci raccontava le fiabe, ma episodi della mitologia. Durante le passeggiate in montagna ci proponeva – senza che ce ne accorgessimo – giochi di parole. Anagrammi, catene da comporre al volo… E in estate, durante le vacanze, lo ammiravamo, in silenzio, mentre incrociava le parole. Così, attorno ai 13 anni, ci è venuto naturale cimentarci con i primi rebus, gli indovinelli…».
Lei ha fatto la stessa cosa con i suoi figli?
«Con loro – durante gli spostamenti in auto – mi sono concentrato soprattutto sui racconti mitologici. Ricordo un viaggio da Milano a Roma all’insegna di Perseo. E poi l’Odissea, gli amori di Zeus… Mia figlia mi ha confidato che ai tempi del liceo era riuscita a tradurre una versione di Eracle proprio grazie ai miei racconti. Che soddisfazione!».
La parola a cui è più legato?
«Petricore, ovvero il profumo della terra secca alle prime gocce di pioggia. Sono anche affezionato alle locuzioni latine, in generale, e a una serie di parole onomatopeiche: guazzabuglio, sogghignare… E, poi, mi ispirano simpatia due neologismi: egosurfing, l’atto di inserire il proprio nome su un motore di ricerca, e perennial, ossia le persone adulte e, soprattutto, gli anziani che sanno restare al passo con i tempi».
L’enigma più difficile da risolvere nella vita?
«Invecchiare riuscendo ad accettare il tempo che passa. Ciò non significa porsi con lo spirito dell’eterno fanciullo bensì mantenersi curiosi ed essere pronti ad accettare i cambiamenti che la vita necessariamente impone».
È riuscito a raggiungere questa condizione?
«Ci lavoro ogni giorno. La Settimana Enigmistica, in questo senso, è un’ottima palestra. E quando ho bisogno di riposare la mente ci sono le Langhe. Io e mia moglie, di tanto in tanto, ci concediamo un viaggio tra le vostre colline: siamo già stati a Grinzane, Diano, La Morra, Monforte, Barbaresco… Immergersi nelle vostre atmosfere è un autentico toccasana».