Una laurea honoris causa per Sveva Sagramola. L’Università di Pollenzo l’ha consegnata alla conduttrice di “Geo” che certifica anche l’importanza dell’argomento “cibo” in armonia con i temi ambientali.
Complimenti, dottoressa Sveva. Com’è stato il suo soggiorno piemontese?
«Meraviglioso. Le racconto questo: una mattina, nelle Langhe, sono stata in un posto che mi è sembrato di una bellezza assurda. Sono salita a La Morra e c’erano i ragazzi fuori da questa scuola bellissima, nella terrazza panoramica. Gli studenti giocavano, facevano la ricreazione all’aria aperta e ho pensato a come erano fortunati. Era una scena così bella, anche per la socialità che esprimeva. In un luogo bellissimo, a misura d’uomo».
Una terra che secondo lei rischia ambientalmente qualcosa per la forte crescita attorno agli argomenti enogastronomici?
«È chiaro che quando si costruiscono le proprie fortune intorno a un tema, diventa a volte difficile mantenere la barra dritta. Ma qui parliamo di una terra di eccellenze. Io dico sempre che la terra è bellissima quando la “ricama” l’uomo. Allora sì che la natura diventa madre, perché altrimenti è per definizione incontaminata e selvaggia. Bellissima nel racconto dei poeti e nel nostro immaginario, ma tosta sul piano pratico. E allora quella cuneese è terra di vini straordinari così come di prodotti tipici, devo dire che non ho visto un paesaggio deturpato. Ho visto, sempre di più, tantissimi noccioleti, però nei posti giusti».
La cultura deve sempre accompagnare la crescita imprenditoriale?
«Sì. ma penso che tutto dipenda dalla coscienza di ciascuno. È chiaro che ci sarà sempre chi punta a ottenere il massimo del profitto senza scrupoli e chi invece si preoccupa di restare in armonia con l’ambiente. L’Italia è un piccolo gioiello, dobbiamo capire che abbiamo tante potenzialità e non possiamo rovinarle. La nostra deve essere una cultura il più possibile biologica, il più possibile di qualità perché è questa la nostra forza. E c’è la terra che se la tratti bene, allora è fertile, in un paesaggio che devi assecondare di conseguenza. Se lo distruggi, non puoi tornare indietro».
Qualcosa sta cambiando nella consapevolezza generale?
«In tanti pensano solo ai propri interessi, però oggi sento che per fortuna c’è una consapevolezza diversa. È dovuta anche al fatto che stiamo già pagando un prezzo alto per un pianeta che soffre e anche l’agricoltura è messa a dura prova dai cambiamenti climatici. Le immagini estreme degli effetti di una desertificazione progressiva, del riscaldamento globale, ci dimostrano che stiamo avviandoci tutti verso una profonda trasformazione. Sarà messa a dura prova la nostra capacità di resilienza, la possibilità di mantenere non oltre il grado e mezzo in più la temperatura del pianeta».
Tutto questo dopo la pandemia…
«Che ha stravolto le nostre abitudini, ci ha fatto soffrire dolori reali per la perdita di persone care, per gli effetti sull’economia. Ci ha messo in crisi però ci ha fatto capire che abbiamo bisogno di stare meglio, di essere più vicini, aiutarci gli uni con gli altri. Però sento che siamo su una strada giusta, verso qualcosa che forse sarà migliore».
Che ruolo ha l’informazione?
«La verità è che se tu comunichi che siamo sull’orlo di una catastrofe, non c’è più niente da fare. Invece siccome non è così, anche se siamo messi male, bisogna sottolineare comunque che ci stiamo giocando la nostra permanenza sul pianeta. Ma ho visto giovani imprenditori, tra i 25 e i 45 anni, che sono davvero avanti e fanno già cose concrete, si inventano soluzioni e hanno un altro approccio. C’è già un movimento e la transizione va avanti».
È la strada tracciata da Carlo Petrini?
«Petrini è un uomo travolgente, ha una luce speciale negli occhi. Tutto quello che fa, lo fa per gli altri. Quando è partito con il suo progetto ha visto più lontano di tutti, da allora agisce per il bene della terra e io la trovo una cosa straordinaria. Ormai la sua filosofia è globale, quella di un essere umano che sia capace di dialogare con i sistemi naturali. L’avevo già intervistato, però vederlo nella sua Pollenzo, circondato da tanti ragazzi e così entusiasta, con un’energia che non so veramente da dove arrivi, è stato bellissimo. Trovo che sia una persona straordinaria, che ti fa innamorare».
Tornando alla transizione ecologica, che cosa può cambiare nel’immediato?
«Questa è una fase in cui non si può avere tutto. Avremmo bisogno, per esempio, di più pale eoliche ma sappiamo che c’è sempre un prezzo da pagare, e riguarda il paesaggio. Del resto il prezzo dobbiamo già pagarlo per aver portato il pianeta sull’orlo della catastrofe ambientale. Dobbiamo fare un po’ di ordine, andare avanti ancora per un po’ con il gas e nel frattempo sviluppare tutte queste fonti alternative. Il ciclo dei rifiuti deve arrivare a zero, ma la verità non si può quasi dire. A volte sembra che manchi il senso della realtà. Il fatto è che a certi risultati si arriva anche attraverso compromessi, per gradi».
È il compito della politica?
«La politica dovrebbe smettere di cercare consensi, deve fare le cose che servono. Ha il compito di guardare avanti, prendendo anche decisioni impopolari. Sulla questione dei rifiuti, ad esempio, nessuno vuol prendersi la responsabilità di fare qualcosa, neanche parlarne. Perché ciò che conta è guardare alla prossima elezione. Allora – spiace dirlo – ma forse i tecnici sono più liberi di agire».
L’argomento cibo com’è entrato nella narrazione di “Geo”?
«Il nostro è stato sempre un programma di documentari, racconti di vita selvaggia da luoghi inesplorati, però dalla prima puntata nell’84 sono passati quarant’anni, con il tempo le cose evolvono, cambia il mondo e il nostro modo di vivere, cambiano i bisogni. Così la trasmissione ha approfondito l’argomento cibo. Affrontiamo i temi della vita, quindi anche il nostro rapporto con il cibo. Sappiamo bene che il modo in cui produrremo da mangiare in futuro sarà molto importante. Raccontiamo le tradizioni e i prodotti, le eccellenze italiane, le persone che hanno un rapporto con la terra, un amore profondo che passa di generazione in generazione. Cerchiamo di ispirare i giovani raccontando modelli, esempi trainanti che sappiano dare speranza ed energia».