C’era un sole leggero, l’aria frizzante, le fragole ancora umide di rugiada. Giovanni Arpino scese dall’auto, s’accese l’immancabile sigaretta, fece due passi ed immerse gli occhi nel verde tenero di maggio. Quel giorno, con lui, nel Roero, mi è rimasto dentro. È come quel soffio di sensazioni, percezioni, respiri che fanno la differenza. Alto, gli occhiali con montatura scura, le lenti spesse e quegli occhi che misuravano le nostre colline, le strade sterrate, “l’oro rosso” che spuntava tra il fogliame.
Lo conoscevano più per le cronache sportive che per “L’ombra delle colline”. Ma a lui piaceva fermarsi a parlare. S’immerse sul mercato tra i carretti che straboccavano, chiese, rispose, s’informò. E il naufragar gli fu dolce.
Pranzammo da Leo al Ristorante del Viale con un vitello tonnato che lo conquistò. Lui già grande scrittore, io giornalista dalla pelle tenera e Celestino Domenico Pellero, una di quelle figure che arricchiscono i paesi. Salimmo al castello della Bela Rosin, entrammo in chiesa, respirammo come diceva lui «quell’atmosfera dell’Ottocento» che s’era rifugiata tra le case quasi tutte malandate, ma con negozio, banca, farmacia, asilo, posta: un paese.
Era stato lui a chiedere al direttore, Sandro Doglio, di Stampa Sera del lunedì che sostituiva La Stampa, di venire a Sommariva Perno. Gli erano arrivate voci di un frutto delizioso che riempiva le piazze. Lo trovò, ma volle vederlo anche nelle serre, sui pendii rapidi che sovrastano le rocche. Quelle fragole così diverse così uguali dettarono alla stilografica un “pezzo” bellissimo e anche lo spavento del mattino quando incamminatosi in un prato venne fermato da un contadino che credeva volesse rubare quei frutti rossi, un malinteso subito chiarito ma che dice tutto della miseria e nobiltà di una terra avara ma inimitabile ed inimitata: un pezzo di Piemonte entrato, quasi inconsapevolmente nel nuovo mondo dopo quello del “profumo d’acciuga e polenta” che per anni aveva riempito le cucine, il mondo del riscatto: un ingresso con le graffianti parole di un grande.
E da allora la “rossa” è tornata. Bella, unica e profumata. S’era nascosta dopo un inverno strano ed irreale. E su tutti era scesa una coltre di malinconia, quella nostalgia canaglia che accompagna i ricordi d’autore. Ansie e delusioni che si battono anche correndo tra gli angoli più selvaggi del Roero dove le colline, in un solo colpo d’occhio, ti danno vigne, frutteti, bosco, alberi sparsi.
È lì che l’hanno vista uscire dalle serre nel bel mezzo di una bizzarra primavera che ha mescolato gelate e lunghi sospiri quasi estivi.
La “rossa” compagna di tanti sogni svaniti era lì. Aveva il colore vivido di sempre, le forme che richiamano le prime fragole, il profumo intrigante, i suoi “ricordi d’autore”.
Era ed è la fragola 2.0 che forse ci porterà oltre la coltre grigia della crisi fatta di anni di rinunce e cinghia tirata. Sembra l’immagine, rifatta in 3D di un mito antico, ma è lei “la rossa”. Quella che mangiavano gli antichi nei loro interminabili banchetti, quella che piaceva a regine come Cleopatra e a donne della storia d’Italia come la Bela Rosin.
Un mito che nelle brevi giornate e lunghe notti d’inverno ha ritrovato il vigore, la lucentezza, il fascino antico, forgiato nel Novecento crudele e sanguinoso di dittature e inutili guerre.
Si fermerà poche settimane come, ormai, oltre tanti anni, è tradizione.
E, come un tempo, ristorerà, rinfrescherà, rianimerà, rigenererà e purificherà, grande fragola. William Shakespeare scriveva: «È innocenza e fragranza, il cibo delle fate». Il re Sole, Luigi XIV, la volle a Versailles. Tra le colline l’hanno portata geniali intuizioni e tanto sudore. S’è radicata e ha scritto pagine gloriose nella terra che non sarà mai più quella dei vinti e della malora.
Tutte queste immagini storiche richiama nel suo pezzo in terza pagina su Stampa Sera del lunedì Giovanni Arpino con la delicatezza di un eroe randagio e l’armonia dell’“ombra delle colline” e le intuizioni sociologiche del “fratello italiano”. A quell’incontro tra Arpino e “la rossa”, io c’ero.
La dolce scoperta di Giovanni Arpino a Sommariva Perno
Il ricordo dello scrittore e giornalista in una gita trascorsa tra le colline raccontate con amore nei suoi libri. Con una rossa e profumata “rivelazione”