IL FATTO
I social rappresentano ormai una vita parallela dove si sviluppano idee e, al tempo stesso, si consumano infinite polemiche. Ma è davvero possibile farne a meno?
Un tormentone che ritorna: «Vivo meglio senza i social». Nella disputa infinita fra chi praticamente trascorre la sua seconda vita online e chi invece ci tiene a starne fuori, la presa di posizione “ufficiale” di Fiorello scava un altro solco. Generazionale. Quello tra i cosiddetti “babyboomers” e gli utenti del web più giovani.
Il dibattito rimane aperto, anche se sotto sotto prende piede la consapevolezza che si tratta di chiacchiere inutili, che nulla si può contro l’evoluzione digitale del mondo. Ma intanto ci si attrezza per evitare derive, il mare di internet è pieno di “sirene”.
Fiorello lo ha intuito. E pensa ad altro: ha da poco cominciato il tour che rappresenta il suo ritorno a teatro dopo cinque anni di pausa. Il suo spettacolo “Fiorello presenta Fiorello” è un concentrato di battute, opinioni e come sempre improvvisazioni, da buon animatore. Si racconta utilizzando il teatro proprio come un canale social, anche perché da quelli web dichiara di essere ufficialmente uscito. Basta con i social. «Li seguo, li rispetto, ma non intervengo più in prima persona. Tutti hanno diritto a una risposta, tutti vanno considerati, ma non è umanamente possibile. Meglio astenersi», ha dichiarato in una recente intervista a La Stampa, curata da Alessandra Comazzi.
E allora meglio esprimere ciò che si deve esprimere dal palcoscenico dello spettacolo. Magari anche per prendersi beffe di TikTok, prima di ironizzare comunque sull’età media della platea.
Del resto, anche un sempreverde come Fiorello deve fare i conti con gli anni che passano. Lui che si definisce “cintura nera di karaoke” riferendosi agli inizi ormai lontani, al successo contagioso che da allora non l’ha più abbandonato. Spiega anche che, essendo uscito dai social, ogni mattina legge i giornali come un’abitudine irrinunciabile: «Sono mattiniero e vado a prenderli sempre nello stesso posto, proprio “l’edicola Fiore” del programma».
Poi in scena si scatena. Ironizza sui testi di Blanco cantando con la voce di Modugno, imita le linguacce di Damiano dei Maneskin. Diventa il rapper Ghali che fa l’hully gully di Edoardo Vianello, dice che Mahmood appena arrivato a Torino per l’Eurovision, è andato a trovare i nonni al Museo Egizio. Scenette che, in fondo, andrebbero benissimo sotto forma di “reel” ma senza un filo conduttore. E soprattutto senza il riscontro del pubblico.
Fiorello canta, balla, suona, fa battute. Tutto in un vortice, da un argomento all’altro. Un po’ come sui social, ma standosene fuori dai social. Una specie di grande racconto autobiografico e musicale. Qualcosa che su twitter e instagram risulterebbe spezzettato, “destrutturato” o “fluido”, per usare termini in linea con gli standard dell’era digitale.