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Missione: salvare parole e fascino del piemontese

Il libro del cuneese Giovanni Cerutti racconta, attraverso 137 canzoni, una tradizione in pericolo

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Giovanni Cerutti, cuneese Doc, con grande passione e conoscenza storica ci ha raccontato “Le 137 canson piemontèise. ’D Barba Gioanin ël Cantastòrie”, l’ultima sua fatica letteraria di 326 pagine, pubblicata dal­l’Associazione Primalpe Co­stanzo Martini.
«Questo è il mio ventesimo libro che ho pub­blicato con Primalpe (l’associazione na­sce nel 1978 a Boves da un’idea di Costanzo Martini: giornalista professionista, scrittore, nato nel 1956 e deceduto nel 1998; obiettivo: dar voce ai popoli, alla loro cultura, storia e tradizione). In quasi 40 anni, un bellissimo mio percorso tra libri e fascicoli. Questo, uscito nel gennaio 2022, credo proprio che segni il termine del mio impegno di ricerca sulle fonti e sulle tradizioni nostre. L’ho voluto scrivere per questo motivo, perché vedo un pericolo. Con il passare degli anni, queste musiche che richiamano storia e valori, si corre il rischio che vadano definitivamente perse. Tra i giovani di oggi, il piemontese è quasi una lingua sconosciuta. Io ho voluto far uscire un qualcosa di tangibile, una traccia, utilizzabile in futuro. Il testo di ogni canzone è preceduto da una breve introduzione storica. Poi vi è lo spartito musicale, con la linea del canto e le sigle degli accordi per l’accompagnamento, il testo in piemontese e la traduzione letterale in italiano. Così, se tra 40 anni le mie nipotine vorranno leggere e vedere che canzoni cantava il nonno, lo potranno fare aprendo questa antologia».

Cerutti, qual è la sua ricetta per conservare il fascino del piemontese?
«Non sono molto ottimista. A Cuneo opera un’associazione che si occupa di piemontese e della cultura piemontese dal titolo “Piemont dev vive” con una rubrica settimanale su un’emittente televisiva provinciale. Però, a preparare le puntate sono persone di una certa età, cioè della mia generazione. Il piemontese resterà sicuramente come una lingua di cultura. In tanti si avvicineranno, lo studieranno e lo parleranno. Il piemontese porta con sé una tradizione incredibile. A livello popolare, però, ho forti dubbi. Una decina di anni fa, su iniziativa della Regione Piemonte, c’era stato un periodo in cui si erano organizzati dei corsi di lingua piemontese. Non solo per adulti, ma anche nelle scuole. Qualcosa è stato fatto».

Le montagne e le valli cuneesi possono essere d’aiuto per questa mission?
«Ci potrebbe essere una ripresa culturale in tal senso. L’occitano, invece, è riconosciuto come lingua minoritaria dalla Regione».

Il suo ultimo libro ha avuto un notevole successo.
«Ho voluto farlo e pubblicarlo proprio perché rimanesse come memoria e nella memoria. A livello di interesse, ci sono tante persone affascinate dal piemontese e dalle canzoni. Questa è una raccolta molto parziale e molto particolare. Ho semplicemente ripresentato, guardando nel mio archivio, le 137 canzoni in piemontese che in questi decenni ho cantato, che ho fatto cantare all’amico e tenore di Borgo San Dalmazzo, Miche­lan­gelo Pepino, ma che ho fatto anche cantare al coro Com­pagnia Musicale Cu­neese, che avevo fondato nel 2001 e che ho guidato e di­retto per 15 an­ni».

Quale sarà il suo prossimo progetto editoriale? Vuole darci un’anticipazione?
«Penso di aver finito da questo punto di vista. Anche perché sono del 1946! Dopo 32 anni di presenza totale in Consiglio Comunale a Cu­neo, ho dato l’addio definitivo a questo incarico istituzionale. Ho fatto del mio me­glio fin dalla prima pubblicazione, così come ci ho messo grande impegno in quest’ultima mia opera».