Home Articoli Rivista Idea «Senza paure e pensieri cattivi la vita è più bella»

«Senza paure e pensieri cattivi la vita è più bella»

Si racconta Chiara Noschese, figlia del grande Alighiero: «A teatro sono gemella di Nancy Brilli»

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Una è sensuale, ot­timista, burrosa. L’al­tra cupa, calcolatrice, os­ses­siva. Ep­pure, sono gemelle. Suc­ce­de. Anche a teatro. Ane­mone e Or­tensia, ovvero Nan­cy Brilli e Chia­ra No­sche­se, in scena al Tea­tro Parioli di Roma con un te­­sto di Margaret Mazzantini e la regia di Leo Muscato, danno vita a un gioco a due che si sviluppa attraverso un interlocutore terzo. Manola, che dà il ti­tolo alla pièce, e che in verità non si palesa, se non come ellissi.

Chiara, chi è Manola?
«Una professionista dell’occulto, una filosofa, forse una pranoterapeuta. Ma in realtà è il pubblico stesso a cui le due si rivolgono grazie allo sfondamento della quarta parete (quella parete immaginaria che divide il palcoscenico dalla platea, ndr). Ogni spettatore sviluppa il suo personale punto di vista e succede che prenda parte con l’una o con l’altra».

Cosa c’è di Ortensia in Chiara?
«L’unico tratto che ci accomuna davvero è la fissa per l’igiene. Io sono analitica ma allo stesso tempo sono anche istintiva mentre Ortensia, do­po trentuno anni di analisi, co­nosce tutto lo scibile in merito, ogni possibile mutilazione».

È anche una calcolatrice esasperata, mi pare…

«Più che esasperata, è esasperante».

Anemone, invece, sembra es­sere il suo esatto opposto: en­tusiasta, ottimista. La­scian­do da parte Ortensia, c’è qualcosa che lei invidia a una donna come Anemone?
«La sua levità. Il rapporto onesto e trasparente con la realtà. Il non avere paure e retrogusti cattivi».

A lei cosa manca nella vita?
«Alla mia età vorrei avere la sensazione di essere centrata, invece sono in uno stato di pe­renne ricerca. Sono una Bi­lan­cia. Ma la mia vita è talmente piena di cose che poi la ricerca stessa si arena e allora prendi, vai, fai».

Di cose ne fa tante: attrice, can­tante, regista, insegnante e direttrice artistica di una scuola di teatro e musical.
«Sul lavoro mi fido dell’istinto».

Un attore non è pieno di sé ma di quello che fa: è d’accordo con questa massima? È firmata Giorgio Albertazzi.
«Sono d’accordo, sì. A proposito, le racconto io un aneddoto firmato Gigi Proietti, che è stato mio maestro. Un giorno a un attore della scuola – intento a provare tra sé – chiese: “Cosa stai facendo?”. Lui rispose: “Sto cercando”. E Proietti disse: “Sospendi le ricerche”. A volte è così: l’attore deve sospendere le ricerche e perdersi in quello che fa. In un altro. Con Or­tensia ho dovuto fare così. È un personaggio in cui o ti ci tuffi o non succede niente, non ci so­no mezze misure».

A proposito di perdersi nell’altro, non posso non chie­der­le se il talento di suo pa­dre, Ali­ghie­ro, non l’abbia condizionata o, almeno, influenzata.

«Quando è morto mio padre io ero troppo piccola, avevo 11 anni. Il suo era un talento straordinario, lui possedeva la ca­pacità di entrare completamente nella fisicità e nell’atteggiamento dell’altro. Io non ho quel tipo di talento. Ma si­curamente i geni hanno avuto il loro peso».

Quando ha deciso di fare l’attrice?
«A 14 anni ho provato a en­trare alla Scuola di Arti Sce­ni­che di Proietti, ma ho potuto iscrivermi solo dopo il liceo».

E quando è nata la passione per il musical?
«È nata dalla passione per il canto. Alla scuola di Proietti se non sai cantare non entri».

E ora una scuola la dirige lei. La Musical Academy presso il Tea­tro Nazionale di Milano. Come si fa a riconoscere il talento?
«Io ormai capisco se un ragazzo ha attitudine dal primo mo­mento in cui entra nella stanza, dal suo com­por­ta­men­to, dal controllo del cor­po. Poi, bastano pochissime righe di monologo».

Non ha mai dovuto ricredersi?

«Ricredermi no. Ma, di fronte a una delusione, mi spacco in quattro per ottenere il risultato che speravo. Detesto i registi che scelgono gli attori e poi li odiano».

Li odiano?
«Sì, è la parola giusta, in certi casi succede. Ma la scelta di un attore è una responsabilità che il regista si assume e che deve portare fino in fondo. Se non ci riesce, il fallimento è suo».

Non è stato il caso di Pietro Garinei quando la scelse, più volte. Un aneddoto?

«È stata un’immensa fortuna incontrarlo e lavorare con lui. In “Aggiungi un posto a tavola” interpretavo Consola­zio­ne ed entravo in scena dopo 50 minuti: spesso li passavo in camerino a chiacchierare con lui seduto sul divano. Era generoso e molto spiritoso. Ricordo una frase: “Quando non ci sarò più sarà divertente guardarli dall’alto”».

A chi alludeva?
«A chi gli sarebbe succeduto».

Un suo autore di riferimento?

«Shakespeare. Lo spettacolo che chiuderà il biennio della scuola sarà “pieno di Shakespeare”».

Da “Molto rumore per nulla” ha tratto il suo “Dance!”, il musical diretto da Saverio Marconi, di cui è autrice.
«Una delle mie prime avventure come autrice. Ho scritto i dialoghi e ringrazio Saverio, un amico, per avermi dato questa possibilità».