Il suo percorso giornalistico, come corrispondente dall’estero, l’ha portata a conoscere in profondità culture e popolazioni diverse e lontane. Giovanna Botteri è un’ottima interlocutrice per provare a capire meglio il mondo, in questi giorni concitati.
Partiamo dalla Cina: come si spiega questa politica spietata di isolamento anti-covid che prosegue senza soste?
«La Cina ha scelto una strada: non far circolare il virus. Nel mondo si sono affermate due linee di pensiero, quella cinese o asiatica (anche australiana) del covid zero e quella, condivisa dall’Italia, della coesistenza con il virus. La Cina non ha avuto dubbi fin dall’inizio, quando a Wuhan 60 milioni di persone furono messe in lockdown: vietato muoversi, l’esercito che porta i viveri a casa. Già a gennaio 2021 con quel lockdown città enormi non hanno più registrato contagi e così la Cina ha costruito la sua battaglia contro il covid. Non ha funzionato: da marzo 2020 è un paese chiuso, non dà più visti. Io ero residente e potevo rientrare, ma non ci sono più linee internazionali, il viaggio è complesso, con limitazioni: prima di partire serve il tampone molecolare e l’esame sierologico che valgono non più di 48 ore quindi puoi arrivarci solo con un volo diretto. Se fai scalo devi ripetere gli esami, quando entri devi sottoporti a due settimane – in alcune città, tre – di quarantena nei covid hotel. Io l’ho vissuta. Vengono a prenderti sull’aereo, il personale bardato di protezioni bianche, ti scorta nei corridoi dell’aeroporto e nella stanza d’albergo dove rimani chiuso, senza uscire nemmeno nel corridoio, perché la porta è allarmata. Ma il sistema di protezione è fallito per due motivi: primo, la globalizzazione è troppo forte, la Cina pensava di poter salvaguardare le merci ma con i suoi porti commerciali tra i più grandi al mondo, non ha potuto impedire contagi da fuori… Ricordo il focolaio diffuso a Nanchino nonostante le misure, perché il personale salito a bordo di un aereo russo per pulirlo, si era infettato».
E il secondo motivo?
«La scarsa affidabilità dei due vaccini cinesi – Sinovac e Sinopharm – con cui tutta la popolazione è stata vaccinata, lasciando gravi dubbi sulla loro efficacia. I cinesi lo sanno ed è per questo che prendono precauzioni forti».
Modello americano e modello cinese, contrapposti o più vicini?
«La Cina oggi è un paese capitalista, nessun dubbio, di un capitalismo anche selvaggio e violento come accadeva in Usa qualche decennio fa, tra sfruttamento del lavoro e santificazione dell’arricchimento. Detto questo, gli Stati Uniti sono una democrazia e la Cina una dittatura. È su tale piano che si gioca la sfida, più che tra Usa e Russia. Quest’ultima ha una crisi economica gravissima, è un paese impoverito con difficoltà tecnologiche che ha scelto la strada militare, mentre la Cina non ha basi fuori dai confini e ha deciso la conquista del mondo in modo opposto, usando il potere tecnologico e finanziario. I cinesi arrivano con valigette piene di soldi e tecnologie, non con carri armati e bombardieri».
Quale peculiarità della Cina dovremmo apprezzare?
«Ha scelto di impiegare tutti gli ultimi decenni nello sforzo della ricerca e il suo sviluppo scientifico è oggi molto avanzato rispetto alla stessa America. Pensiamo ad esempio alla battaglia del 5G: a parte che la Cina ha già il 6G, ma comunque il suo 5G è molto competitivo, funziona e costa la metà. I televisori cinesi sono ormai straordinari, i telefonini sono pazzeschi. Secondo me questa modernità è un aspetto molto interessante, la Cina è nel futuro dei prossimi 30-50 anni, con un pensiero che forse deriva da una lunga storia secolare, che va oltre l’orizzonte. È una bella lezione da imparare».
Hanno accelerato anche la transizione ecologica?
«È stata una necessità. Negli anni dello sviluppo industriale la Cina era una camera a gas, con l’inurbamento di centinaia di milioni di persone che hanno abbandonato le campagne per le città, trasformate in megalopoli del benessere da girare non più in bici ma in auto. Ma la Cina ha un disperato bisogno di energie, ha il carbone con cui ha inquinato fiumi e terreni. Io usavo già la mascherina prima del covid, al mattino arrivava l’avviso e c’era la raccomandazione a non uscire di casa, ora si usano le Ffp3 con la valvola. L’inquinamento ha provocato morti e disastri, enormi problemi respiratori oltre al dissesto sociale dovuto alla disparità tra campagne e città. Per riparare, la Cina ha iniziato un processo ecologico, solo che – come l’Europa – non può basarsi su fonti alternative e sfrutta le miniere di carbone, anche quelle che definisce “meno inquinanti” nei paesi dove può farlo, per esempio in Sudafrica. E approfitta della situazione per prendersi il gas russo, costruendo un nuovo gasdotto che in tempi record lo porterà in Cina».
Come ha ritrovato l’Europa dopo tanti anni?
«Sono stata in America e in Asia, prima ancora in Medioriente per le guerre. Mi riconosco un’identità europea più di chi ci ha sempre vissuto, da fuori capisci cosa significa il privilegio di nascere in Europa dove c’è pace, democrazia, tolleranza e uno sforzo costante nella protezione dell’individuo che altrove non è assolutamente scontato, Stati Uniti compresi. In Francia per me è un ritorno, ho studiato alla Sorbona, a Parigi è nata mia figlia».
Ci dica allora, da lì come vede l’Italia?
«Come il più bel paese, dove si vive meglio. Ha potenzialità straordinarie e una bellezza imbarazzante, persone di capacità e talento. Ma ho sempre notato una sorta di masochismo, un’autocondanna, queste derive autoreferenziali che guardano al proprio ombelico invece che al mondo».
A che punto è la guerra in Ucraina?
«È un capitolo a parte. La vedo anche da una prospettiva asiatica: la cultura russa è anche europea, ma metà del paese è asiatico e da anni guarda allo sviluppo di altri paesi: Cina, India, Singapore, Vietnam, Indonesia. C’è mondo in piena espansione e ci sono mercati ricchi, quindi i russi hanno consapevolezza che il loro destino non finisce in Europa. La guerra si risolverà quando Mosca e Washington si siederanno a un tavolo e Putin avrà le rassicurazioni che chiede. Non da Zelensky, ma da Biden e, si spera, da Xi Jinping».
Conclusione classica: conosce le Langhe?
«Io sono nata a Est, ma Pavese mi ha fatto conoscere quelle terre da ragazzina poi ho approfondito grazie ad amici come i Farinetti. Di queste zone mi piace la storia, il carattere della gente, combattivo, volitivo, forte e rigoroso. Sempre un esempio trainante per il paese, con quell’integrità che forse è anche più forte di una certa determinazione lombarda».