Un affermato ricercatore scientifico alle prese con il suo primo romanzo. Davide Risso ha scritto “Viola di sera” e gli abbiamo chiesto come sia possibile conciliare lo studio rigoroso e l’invenzione letteraria: «Tendenzialmente la scrittura fa parte del mio lavoro, ma quella scientifica e razionale, basata sui fatti. La scrittura creativa, però, è una passione che coltivo da tempo, tanto è vero che ho già pubblicato diversi racconti su riviste italiane e statunitensi. Adesso ho partorito il mio primo romanzo, ma la scrittura mi accompagna. Leggo tantissimo, ho una passione smisurata per il leggere. Dopo la lettura è venuto il tempo, per me, della scrittura. La parte creativa mi serve molto, perché noi scienziati abbiamo il difetto di essere super razionali. Leggere e scattare foto, mi aiuta a staccarmi un po’ dalla deformazione professionale: troppa non va bene».
Ci racconti la nascita di “Viola di sera”.
«Abitavo a Pisa, dove piove moltissimo. Una sera ci fu un contrasto fortissimo tra la pioggia e un tramonto, con un viola molto acceso. Questo scatenò in me un po’ di fantasia. Attorno a me avevo dei palazzoni, ero al piano terra ed ero dietro le inferriate. Fu stimolare un insieme di emozioni. Misi tutte le idee insieme e iniziai a scrivere. Il colore e il profumo della pioggia con il colore del tramonto. Ho immaginato un bambino chiuso in una stanza che poi è il fulcro della storia».
Cosa lascia questo suo primo romanzo?
«È molto soggettivo, ovviamente. Nella mia testa, mi sono fatto l’idea che può essere letto indistintamente da bambini e da adulti. Ai più grandi può lasciare l’idea che le situazioni non sempre sono come appaiono. Nei primi capitoli, certi personaggi vengono giudicati negativamente, poi le opinioni cambiano strada facendo. Testimonia che spesso ci fermiamo alle prime impressioni per giudicare le persone, senza andare a fondo. La storia va avanti e indietro, tra le pagine. Interessante. Ma non posso svelare di più!».
Questo libro rappresenta una base di partenza per lei?
«Spero che venga ben recepito e poi che sia un primo mattone, un punto fermo, per far sì che i prossimi siano maggiormente riconosciuti dal pubblico. Sono soddisfatto, è un bel progetto che ho terminato durante uno dei lockdown. Ci ho dedicato tanto di me stesso. Un sogno che si è avverato. Una passione che ho da molto e non vedo l’ora che sia pubblicato, per poter andare in giro a presentarlo e parlarne».
Viviamo in un’epoca velocissima. Ma la lettura che potenza ha, ancora?
«Io non ho social. Uso Linkedin e WhatsApp. Ovviamente anche solo YouTube o un sito di notizie possono essere delle distrazioni, diciamo così. Prendersi del tempo per stessi, per scrivere, è fondamentale. Non è scontato, ma mettere il telefono silenzioso o in modalità aereo, porta una sensazione di respiro. Io vado in montagna e arrampico, in posti dove il telefono non prende. Però è paradossale, sembra così facile o così difficile. Dipende dai punti di vista. La società ci porta a un tutto e subito. Un libro da leggere non va visto come un impegno, ma come una scelta».
Ha girato molto, ma lei è nato ad Alba.
«Esatto, sono albese, ma di base attualmente vivo a Torino. Lavoro, però, in modalità remoto e spesso sono in giro, mettiamola così. Mi piace esplorare, visitare, conoscere. Questo nostro territorio, ha una cultura innata dell’amicizia e del coltivare i rapporti umani. La profondità delle persone e il tipo di rapporto che uno costruisce. Con il libro, ho constatato questo nelle persone albesi e piemontesi. Sotto questo aspetto, vi è una marcia in più che apprezzo molto. È qualcosa che difficilmente si trova in giro per il mondo. Ovviamente, ci sono anche il buon vino e la buona tavola. Ma, credo di non doverlo dire io. Siamo imbattibili qui!».
Ci dà in anteprima un assaggio del romanzo?
«La trovate anche su bookabook.it/libro/viola-di-sera. Eccola: Riccardino è allergico all’aria. L’ha detto la mamma, e quel che dice la mamma non si discute. Per questo motivo la sua intera vita, ben sei anni terrestri, è stata spesa all’interno del solito spazio angusto circondato dalle stesse quattro mura. A portar luce nella sua claustrofobica esistenza c’è però un piccolo oblò, un angolo spesso addobbato da ragnatele, che offre uno sguardo sul mondo esterno, quello vero, che Riccardino non ha mai potuto toccare. La posizione è privilegiata: tra tutti gli edifici che lo circondano, il palazzo di Riccardino svetta non solo per altitudine, ma anche per eleganza. La bianca tinta delle pareti, infatti, è piacevolmente contrastata da un blu scuro e deciso, che lo snellisce, facendolo apparire ancora più alto. Non che ce ne sia bisogno, ben inteso. Il suo palazzo è infatti il più alto dell’intero vicinato. In assenza di miopia, se si guarda con attenzione il nono piano, è possibile intravedere il piccolo oblò. Da lassù, Riccardino può osservare, o meglio spiare, chiunque passi nei dintorni. Al contrario, nessuno riesce ad accorgersi di lui, sperduto puntino difeso da un oblò nel cielo. Tale posizione appare quindi perfetta per un pittore come lui il quale può osservare e interpretare il mondo».