Durante la scorsa plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo è andato in scena l’atto finale della “commedia delle contraddizioni” della maggioranza dell’emiciclo che ha visto – forse – il suo epilogo con le votazioni sul pacchetto Fit For 55, la serie di misure europee pensate per ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2030.
Dopo la bocciatura e il conseguente rinvio alle commissioni parlamentari di tre pilastri del pacchetto arrivata mercoledì mattina, nel pomeriggio si è consumato lo strappo decisivo: la sciagurata messa al bando della produzione dei motori a combustione a partire dal 2035 è passata con i voti decisivi del gruppo dei socialisti (di cui fa parte il Pd) e delle sinistre ambientaliste.
È evidente che una scelta così netta minaccia migliaia di aziende e lavoratori del settore automotive (e del suo indotto) italiani ed europei. 70mila posti di lavoro solo in Italia rischiano di andare in fumo. In questo scenario, il Piemonte – mi duole dirlo – rischia di essere una delle regioni più colpite: se parliamo solo della componentistica il Piemonte è la regione che dà lavoro a circa 56.600 addetti e fa il 45 per cento dei ricavi del settore automobilistico nazionale.
Un’impostazione ideologica tutta sbilanciata sull’elettrico, così come ad oggi si prospetta negli ambienti di Bruxelles, rischia di aggravare lo scenario per diversi motivi: perché Italia ed Europa non sono in grado di produrre autonomamente il litio per le batterie, che dovremo quindi comprare dalla Cina; perché non abbiamo una filiera per lo smaltimento, la sostituzione e il riciclo delle batterie (che dovremo inviare a Paesi terzi, su tutti India e Cina); perché mancano le infrastrutture di ricarica, con un gap che in 13 anni difficilmente potrà essere colmato, soprattutto nelle regione periferiche e più svantaggiate d’Europa. Se accadesse davvero tutto questo vorrebbe dire consegnare all’Asia il settore automotive italiano ed europeo.
Ma sono ottimista di natura e ci sono ancora margini reali per migliorare le cose. Italia, Francia e Germania avranno la possibilità di aggiustare il tiro e migliorare il testo del provvedimento facendo blocco compatto contro i Paesi del Nord Europa, che più hanno spinto su questa linea intransigente. In secondo luogo, sono questi i tre Paesi che stanno più investendo sulla neutralità tecnologica, con il nostro Ministro Giorgetti che al Ministero dello Sviluppo economico ha già da tempo proposto le misure per la riconversione graduale dell’automotive, lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno, il nucleare pulito di ultima generazione.
La sacrosanta difesa dell’ambiente deve tener conto delle ricadute sociali ed economiche su tutte le filiere produttive, altrimenti l’eutanasia della nostra industria sarà il prezzo da pagare per avere un mondo forse più pulito, ma sicuramente un’Europa ridotta a terra di conquista.