Quando deve dire una cosa, la dice e basta. A costo di risultare impopolare o fuori dagli schemi. Ma lui – Guido Crosetto, l’ex onorevole cuneese che ha contribuito a fondare Fratelli d’Italia – è fatto così: prima di tutto, ci sono princìpi, valori, concretezza e alto senso delle istituzioni. Sono queste le qualità che lo hanno reso uno dei protagonisti del panorama politico e imprenditoriale più ricercati e ascoltati. Ed è per questo che ad Alba c’è attesa per l’incontro del 1° luglio (ore 20,45, in Sala Beppe Fenoglio) che lo vedrà protagonista, intervistato dal vicedirettore di Libero, Pietro Senaldi.
Guido Crosetto, un’anticipazione sulla serata albese?
«Sarà un’intervista ad ampio raggio, un incontro su vari temi: si analizzeranno i principali problemi del Paese, ma si affronteranno anche le questioni internazionali di maggiore rilevanza».
Torna sempre volentieri ad Alba.
«Per due legislature sono stato il deputato eletto nel Collegio di Alba: è normale, quindi, che si sia creato un legame molto forte con gli elettori di quell’area del Piemonte. La capitale delle Langhe mi ha dato davvero tanto, lì c’è un pezzo del mio cuore».
Che segno pensa di avere lasciato?
«In quel mandato mi sono messo al servizio di Alba e dell’intero territorio, che comprende anche Bra, oltre a tutte le Langhe e al Roero. Ho cercato di risolvere problemi e portare risorse…».
Come i “fondi Crosetto”, tornati di attualità per il finanziamento di alcune importanti infrastrutture del territorio…
«È forse un segno che dimostra che qualcosa di buono lo abbiamo fatto… (ride, nda) Battute a parte, è la testimonianza del fatto che lavorando in un certo modo i risultati concreti sono assolutamente raggiungibili».
A proposito di territorio, ora il Piemonte punta forte sull’aerospazio. È la strada giusta?
«In questo ambito, il Piemonte ha una lunga storia. Si pensi, giusto per fare un esempio, che ThalesAlenia, realtà leader nel settore spaziale da decenni, ha sede a Torino. Puntare sull’aerospazio significa creare nuovi posti di lavoro, sostenere la ricerca per l’aeronautica, generare un volano di opportunità. Semplificando, vuol dire alimentare la crescita».
Una necessità sentita soprattutto in questo periodo…
«Sì, specie per Torino, ancora orfana di quello che, a lungo, è stato il suo settore trainante: quello automobilistico. Fino a qualche anno fa, questo comparto rendeva possibili alcuni investimenti particolarmente significativi, faceva crescere le aziende, creava grosse opportunità occupazionali…».
E ora?
«Quel poco che è rimasto rischia di andare perso nel contesto della transizione verde. Quindi, anche in tale settore, è quanto mai necessario costruire delle alternative. Le economie, del resto, crescono solo se si creano dei distretti nuovi e alternativi, basandosi ovviamente sempre su competenze, know-how, ricerca. In questo senso, aeronautica, spazio e automotive sono il futuro».
Gli investimenti in campo spaziale sono anche un modo per potenziare le difese in caso di minacce belliche?
«In realtà, alla luce di quanto sta succedendo in Ucraina, più che alla difesa spaziale è bene pensare a quella – molto più concreta – del territorio. Stiamo infatti assistendo a una guerra “convenzionale”, combattuta praticamente in trincea, che ci riporta indietro di ottant’anni e che ci fa temere per un qualcosa che pensavamo non potesse più accadere».
Le implicazioni?
«Tutto ciò ci impone di fare un ragionamento diverso da quello che è andato per la maggiore negli ultimi anni».
Ovvero?
«Occorre ripensare la Difesa e le alleanze. E poi bisogna pure ripensare l’utilizzo dello strumento militare: fino a qualche tempo fa, infatti, si pensava, che armi ed eserciti sarebbero serviti esclusivamente per svolgere missioni di pace; invece, la realtà ci dice cose differenti».
Lei è d’accordo con l’invio di armi all’Ucraina?
«Non abbiamo di fronte una scelta, bensì un’alleanza – quella con la Nato – da rispettare. Se si decide di far parte di tale alleanza bisogna rispettare le regole che valgono in quel momento. Non si può pensare di farne parte e poi di smarcarsi da alcune situazioni. O si sta da una parte o dall’altra…».
È un’azione “naturale”, insomma…
«No, è un obbligo per chi costituisce l’alleanza. Se non piace o, comunque, non lo si vuole rispettare, si rinunci all’alleanza stessa…».
Come si pone, invece, di fronte alla gestione dei profughi ucraini?
«Anche l’accoglienza dei profughi ucraini è un dovere, oltre che un obbligo di legge. La nostra legislazione impone, infatti, di dare accoglienza alle persone che fuggono dalla guerra. E, nel caso degli ucraini che stanno raggiungendo il nostro Paese in queste settimane, non ci sono dubbi circa la necessità di garantire loro assistenza e ospitalità».
Si può trarre qualche “insegnamento” dal conflitto in corso?
«Che l’Unione Europea non esiste. Ci sono diversi Stati – ciascuno con le proprie politiche – ma non c’è una posizione comune. Quella che si sta delineando ora è semplicemente la somma di tanti interessi differenti».
L’interesse europeo è scarso?
«Non esiste proprio. Sul tavolo del dibattito ci sono sempre e soltanto le questioni delle singole nazioni. La debolezza dell’Europa a livello internazionale deriva proprio da questo approccio e finché sarà così le cose non potranno cambiare».
Cosa lasciano invece le ultime elezioni amministrative italiane?
«L’indicazione degli elettori di centrodestra mi pare chiara: si chiede un centrodestra unito e solido. Anche perché, in genere, quando si corre tutti insieme, si vince, a patto chiaramente di puntare su persone serie…».
E Fratelli d’Italia?
«Fratelli d’Italia continua a crescere. Le elezioni lo hanno confermato. Ma serve a poco se non si interrompe la decrescita di Forza Italia e della Lega. Oggi, il primo compito di Fratelli d’Italia deve essere proprio quello di aiutare le altre componenti del centrodestra a non perdere consensi…».
Chiudiamo tornando in provincia di Cuneo. Come vede la Granda dal suo osservatorio?
«Continua a essere un territorio con peculiarità uniche: da quelle industriali a quelle enogastronomiche, passando per la manifattura. È una delle terre con più possibilità di crescita in questa fase di ripartenza. E poi ha una qualità quasi unica…».
Quale?
«La capacità di fare comunità e di creare reti – con i piccoli Comuni ma non solo – capaci di prendersi carico anche delle situazioni più difficili e di rispondere in maniera efficace alle reali necessità delle persone».