Era già stato in Piemonte, a Carmagnola, per presentare i suoi libri e si era quindi confrontato con quella «platea molto attenta». In passato, in Piemonte, aveva spesso frequentato anche Asti per diverse inchieste giornalistiche («quella sulle toghe, prima ancora negli anni ’90 per Goria e per il finanziere Rapisarda e la Cassa d’Asti»). La scorsa settimana Gianluigi Nuzzi è tornato in zona per presentare il suo “I predatori (tra noi). Soldi, droga, stupri: la deriva barbarica degli italiani”. Lo ha raccontato in una calda serata, ma l’impatto è stato comunque agghiacciante. Perché le storie contenute nel libro sono letteralmente così, agghiaccianti. Come ci spiega lui stesso: «Gli stupri stanno cambiando. Siamo abituati purtroppo a quelli delle vittime bloccate fisicamente dall’aggressore, immobilizzate sotto il tunnel di una stazione ferroviaria, la sera in un giardino pubblico. Oggi c’è un nuovo fenomeno dove si usano droghe che cancellano le difese e la memoria delle vittime. E ci sono anche le benzodiazepine».
È questo il punto di svolta?
«Sì, perché sono farmaci generalmente usati per curare “l’anima” ma in questo caso, uniti all’alcol, vengono brutalmente utilizzati per resettare la memoria della vittima, per colpirla nelle situazioni più impensabili. E questi nuovi stupri sono portati avanti da persone insospettabili. Potrebbe essere lei, potrei essere io, personaggi bene inseriti in contesti sociali, che colpiscono quando meno te l’aspetti. Magari durante un colloquio di lavoro, oppure a una visita medica. Anche l’altra settimana è stato arrestato un presunto predatore seriale… Sono di fatto tutti seriali, usano i social per acquisire informazioni, sono narcisi che amano fotografare in continuazione e filmare se stessi e le vittime».
Qui il discorso dei “raptus” non regge…
«Non credo nei raptus, è un esercizio giornalistico di sintesi per i titoli, per come la vedo io, ma in psicanalisi il raptus non esiste. Queste sono persone che si spogliano della loro umanità, che cercano ragazze per portare avanti un rito dove non esistono interazione, complicità e confidenza. È davvero impressionante, le vittime sono come bambole di pezza, trascinate nelle case dei predatori… Io stesso sono rimasto sconvolto, ho fatto questo libro lasciando il filone del Vaticano che mi ha un po’ contraddistinto, perché credo sia un fenomeno che va assolutamente raccontato».
Nel libro ci sono storie davvero impressionanti, come della donna abusata davanti al marito, sedato anche lui, e al loro figlioletto tenuto buono con dei giochi.
«In quel caso il predatore ha lavorato al progetto, facendo leva sulla sua attività di agente immobiliare, ha conosciuto la vittima a una recita scolastica, dove era andato portando il suo bambino, pensi un po’. Ha dato appuntamento in un bar a questa malcapitata per discutere della possibile vendita di un box auto. Lei si è presentata con il marito e il loro figlioletto. Lui di nascosto ha messo dentro ai bicchieri il mix di droghe (sono sostanze incolori e insapori, fanno effetto in pochi minuti), poi ha accompagnato lei e il marito, semi-incoscienti, fino a casa sua, assieme al bimbo piccolo. Il marito, in rari momenti di luce, ha detto di aver visto ogni volta la moglie vestita in modo diverso. Era il rito che si stava compiendo. Qualcosa di tremendo. Un’altra storia racconta di stupri avvenuti sempre nella casa del predatore di turno, mentre il figlio – stavolta del criminale – era tenuto occupato con la playstation, davanti alla tv. Come se fosse tutto normale».
È un fenomeno legato alla società attuale?
«Ne è figlio. Ragazze che parlano poco con i genitori, a loro volta genitori molto distratti, assenti o che pensano basti dare qualche soldo o pagare l’università alla figlia perché questa cresca da sola. C’è sempre poco dialogo in famiglia, poca prevenzione. E se ora facciamo un sondaggio tra il pubblico chiedendo che cos’è la ketamina, vedrete che nessuno lo sa». Durante il dibattito, andrà proprio così: si tratta di un potente analgesico-dissociativo, usato in veterinaria.
Situazioni meno improbabili di quanto si possa pensare?
«Si crede che accadano ad altri figli, se succede non si denuncia perché siamo nel campo di un tabù sociale ancora forte».
Quanto conta il potere del denaro in questo contesto?
«Ha centrato il problema: i predatori hanno un rapporto malato con il denaro e il benessere. Non riescono a gestirlo, come nel caso di Alberto Genovese, che comunque ha avuto genialità imprenditoriali, oppure come Antonio Di Fazio che millantava tutto, aveva le “pezze”, ma si pavoneggiava. Come ha scritto Dagospia: più che un mito, un mitomane».
Tornerà ad occuparsi di Vaticano?
«Vedremo, non mi sento un crociato del nuovo millennio. Ora la situazione è cambiata in peggio dal punto di vista finanziario. Calano le vocazioni e le offerte dei fedeli, impazzisce la bussola della Chiesa, non più centrale nel tessuto sociale. Io dico purtroppo, perché è un patrimonio collettivo per credenti e non credenti, specie nella nostra Italia fatta di provincia più che metropoli, in un tessuto sinottico di associazioni e volontari, che fanno famiglia. Io credo in questo, vengo dal Novecento con orgoglio».
Ci sono soluzioni praticabili?
«Per esempio ci sono tante leggi da rivedere. E non parlo di aumentare le pene, sono cose sensazionalistiche. No, sarebbe importante aggredire immediatamente i patrimoni delle persone accusate di questo tipo di reati. E poi bisogna dare garanzie a chi denuncia, la donna va tutelata sia a livello giudiziario e sia nel percorso sanitario, perché i protocolli negli ospedali non sono sempre applicati. Il “si è inventata tutto” è l’anticamera del “se l’è andata a cercare”. Che può anche succedere, ma più nelle coppie che si stanno separando, dove capita che al marito/papà vengano attribuite colpe da parte della moglie, in una guerra dei Roses. Ma io parlo dei predatori, un’altra storia».