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Il principe del popolo

William compie 40 anni e la gente conferma d’amarlo: per le responsabilità accettate e per le cicatrici del cuore, su tutte l’impossibilità di vivere privatamente il dolore per la perdita di mamma Diana

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Quarant’anni. Non ci sembra vero. Lo diciamo per il principe William come per figli, nipoti, pargoli d’amici e in fondo è logico perché la popolarità trasforma i vip in figure familiari: come se gli strepiti infantili – sembra ieri – fossero avvenuti all’asilo sotto casa e non in austeri saloni spiati da famelici tabloid.
Una vita ci scorre davanti, tra riflessioni sul tempo che vola: il diploma e la divisa, la laurea e la medaglia, le lacrime di dolore per l’addio a mamma Diana e quelle di gioia per i matrimonio con Kate, donne fondamentali nel suo percorso, così diverse e così uguali, il vuoto di un sorriso perduto che è solo suo e di cui invece il mondo s’è impadronito, e il garbo di una ragazza senza nobiltà che ha imparato in fretta regole e doveri reali, elegante e solenne, a prima vista impeccabile ma dolcemente imperfetta. Con la madre il rapporto era speciale, coltivato attraverso complicità e strappi al protocollo: piccolissimo, seguì in Australia i genitori perché lei non voleva lasciarlo a lungo e fu, con il senno di poi, il battesimo universale di Lady D, tenera e vicina al popolo, nulla della fredda imponenza reale, così centrale nel cuore della gente e dei media da oscurare, fin da allora, il Principe Carlo. Tra i due c’erano già distanze, a Palazzo confidavano nella culla per rinsaldare il rapporto, invece a nulla è servito e nemmeno il fratellino Henry ha incollato i cocci della storia.
Ha sofferto, William. È cresciuto in fretta. Ha portato avanti la mission materna con l’aiuto della moglie: beneficenza sentita, costante, reale in tutte le accezioni, fin dalle nozze solidali, curata ogni giorno in silenzio o anche alla luce del sole perché status e immagine smuovono più facilmente le coscienze: proprio in questi giorni, un’involontaria fusione dei due stili, con il tentativo di mimetizzarsi per le strade di Londra – cappellino e gilet identici a ogni volontario – smascherato in fretta dai cittadini che lo amano e lo sognano erede della nonna Elisabetta al Trono anche se nell’asse c’è prima papà Carlo. Hanno imparato ad amarlo seguendone i passi, condividendo gioie semplici – l’amore sbocciato all’università, le smorfie dei figlioletti, l’empatia di Kate – e ne comprendono le cicatrici, dal lutto tragico che lo colpì adolescente alla rottura con Henry dopo aver fatto tutto per proteggerlo. E ne hanno apprezzato l’accettazione delle responsabilità e la calma più forte d’ogni invadenza, mantenuta da ragazzino dinanzi all’impossibilità di un dolore privato come da grande al cospetto di voci sguaiate su una scappatella. Il popolo rivede Diana, nei gesti e nello sguardo, e rivede Elisabetta nella regalità. La regina è un’altra figura fondamentale, gli ha insegnato giorno dopo giorno a diventare re, modello inflessibile e non­na tenera, ma non da sempre: hanno iniziato a frequentarsi, conoscersi davvero, dopo la separazione di papà e mamma. Se la stanchezza che l’ha obbligata a saltare alcuni eventi del suo giubileo s’attenuerà, ha promesso di partecipare alla festa dei quarant’anni, nel castello di Windsor nella tenuta di Sandringham.