Tre generazioni di produttori. Un modello cui guarda il mondo. Il senso del mecenatismo e delle arti non come corollario, ma fondamentale integrazione per lo sviluppo del territorio. Nella Tenuta Monsordo Bernardina, a pochi chilometri da Alba, pulsa il cuore della Ceretto. Nata negli anni ’30 del secolo scorso l’azienda, ambasciatrice in Italia e nel mondo di vini di eccellenza e prodotti di elevatissima qualità, segna da allora la storia vinicola del Piemonte. Oggi è guidata da Roberta Ceretto insieme al fratello Federico e ai cugini Lisa e Alessandro cui i padri, Bruno e Marcello, hanno lasciato le redini.
Le Langhe e i Ceretto: una lunga storia d’amore con la terra e la sua gente. Ce la racconta?
«La nostra famiglia è originaria di Valdivilla, una frazione di Santo Stefano Belbo, da dove mio nonno Riccardo appena sposato con Emilia si trasferisce per trovare una nuova casa ad Alba. Erano contadini e gestivano una locanda, ma erano troppi fratelli quindi difficile garantire lavoro per tutti. Ad Alba trova lavoro presso una cantina e costruisce la sua nuova vita. Intuisce che il vino poteva essere un lavoro benché avesse più abilità da commerciante che da enologo. Saranno i figli Bruno e Marcello a fiutare la straordinarietà delle uve di Langa e costruire tassello su tassello quello che oggi è la Ceretto.
Insistettero per acquisire terreni, oggi 170 ettari di cui molti nei cru storici di Barolo e Barbaresco, ma anche puntare sulla qualità, sulla comunicazione creativa e poi sulla cultura. Nel 2000 la terza generazione dà vigore ai molti capitoli aperti, si concretizzano progetti e si realizzano nuove idee, l’arte, la ristorazione, la scelta di un’ agricoltura rispettosa e sostenibile».
Recentemente Alba ha commemorato Giacomo Morra, inventore della Fiera del Tartufo e del mito del Tartufo Bianco. Ci concede una battuta sull’evento e sulla figura di imprenditore?
«Siamo stati coinvolti dal comune di Alba per celebrare attraverso l’immaginazione e il talento di Crippa (chef del ristorante tristellato Piazza Duomo) il personaggio di Morra. Ogni albese conosce la sua figura legata al Tartufo e quanto lui si sia speso per valorizzarlo e trasformarlo in ciò che ora tutte le cucine ci invidiano. Meno raccontata, soprattutto alle nuove generazioni, la sua storia di ristoratore decisamente esemplare per visionarietà e organizzazione. Un imprenditore ante litteram capace di far apprezzare la cucina delle Langhe quando queste erano colline desolate».
Vino, cibo, ma anche architettura e arte. La Ceretto ha saputo fare sintesi tra i due settori. Qual è l’importanza della cultura per la promozione del territorio?
«Il vino e il cibo di qualità sono espressioni culturali perché accompagnano i territori da sempre e ne fondano un senso di appartenenza dei propri abitanti. Sopratutto nelle Langhe sono veicolo di attrazione per un grande flusso di turisti appassionati. Noi, ormai più di 30 anni fa, abbiamo accompagnato il nostro lavoro alla cultura più d’intelletto e meno materiale, prima con dialoghi tra scrittori poi con l’arte e l’architettura. Ci appassionava l’incontro coi creativi ma ci siamo anche resi conto che poteva essere un modo interessante per vedere e far percepire i nostri luoghi e i nostri prodotti sotto prospettive diverse. In fondo il vino e l’arte di base hanno un comune obiettivo: rendere più bello o più buono un progetto, un luogo».
I prossimi progetti culturali?
«Nel Roero, sul Torrione di Vezza dove coinvolgeremo un artista per dare un suo contributo creativo per valorizzare un luogo meraviglioso e creare un contenuto nuovo che generi attrazione».
E quelli legati al vino? Accennava di un progetto legato a Vicoforte, nel Monregalese.
« Questo è uno spin off del mio lavoro. Con mio marito Giuseppe Blengini, abbiamo iniziato 10 anni fa a investire su quelle Langhe più di confine ma affascinanti e decisamente da scoprire, per nulla distanti dalle più blasonate colline del Barolo. Qui abbiamo piantato Pinot nero e Chardonnay trasformando la casa dei miei suoceri in una cantina per lo spumante, che è uscito quest’anno con l’annata 2017 e 2018. Si chiama Monsignore come l’azienda ed è una sfida, perché siamo in un certo senso dei pionieri in questo territorio. Per la Ceretto invece la vera rivoluzione è avvenuta a inizio secolo, quando è iniziata una totale conversione a un agricoltura sostenibile e rispettosa. Inoltre abbiamo iniziato a concentrarci ancora più capillarmente sui cru di Barolo e Barbaresco e ripreso ad acquistare piccole parcelle da vinificare e poter così far conoscere ed emergere le molteplici sfumature dei territori delle sue note denominazioni. Ora per esempio usciamo con 9 cru (6 di Barolo e 3 di Barbaresco) che attingono a 9 comuni differenti».
Le Langhe hanno saputo costruirsi un’identità grazie a felici intuizioni, altre zone in Granda sono ancora alla ricerca. Ha qualche suggerimento?
«Credo che il segreto delle Langhe non siano solo le intuizioni, sempre benvenute, ma soprattutto la voglia di cambiare, la creatività, la perseveranza, la costanza nel voler inseguire un percorso di crescita. Fenoglio descriveva queste colline come la terra della “Malora”, oggi un vago ricordo. I langhetti hanno saputo cambiare rotta ricorrendo a ciò che avevano e facendo conoscere i vini, i prodotti come i tartufi e le bellezze paesaggistiche con orgoglio anche all’estero. Difficile dare un suggerimento, ma cosa vorrei per il futuro del nostro territorio è di iniziare ad allargare i confini delle Langhe più note e aprirci verso i nostri vicini, usare più rispetto per i nostri luoghi, imparare a dire qualche no ogni tanto soprattutto di fronte ai grandi numeri di visitatori che stanno arrivando per conoscere le nostre colline».
Considerazioni sulle nuove generazioni chiamate a portare avanti importantissime realtà vitivinicole in Langa e Roero?
«È una sfida, fare delle considerazioni ma soprattutto per le nuove generazioni, che partono sicuramente avvantaggiate perché un percorso è già stato aperto, ma molta è la competizione. Sicuramente sono più preparati, più curiosi e per loro c’è più facilità di conoscere, viaggiare, confrontarsi. Vedo giovani motivati, molto attenti. Credo molto nella loro voglia di mettersi in gioco soprattutto di voler investire sulla sostenibilità, tema che noi abbiamo iniziato ad affrontare già dal 2000 e che sempre più spesso ci viene chiesto di raccontare come esempio virtuoso».