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A Monfortinjazz Vinicio Capossela

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Un grande appuntamento per la 46esima edizione di Monfortinjazz: in occasione di “Round one thirty five 1990-2020. Personal Standards”, Vinicio Capossela – a Monforte in tante occasioni e con diversi progetti e formazioni – ripercorrerà domani, venerdì 22, il repertorio dei suoi standard personali dei primi album, accompagnato dagli storici collaboratori Giancarlo Bianchetti, Enrico Lazzarini e Antonio Marangolo, che dei primi tre dischi aveva curato gli arrangiamenti, a partire da quel “All’una e trentacinque circa” a cui il titolo del concerto si richiama. Il 12 ottobre di 31 anni fa usciva “All’una e trentacinque circa”, il primo disco di Vinicio Capossela. L’album, nato sotto l’egida del grande Renzo Fantini e tenuto a battesimo da Francesco Guccini, vinse la Targa Tenco e segnò l’inizio di un felice e caleidoscopico percorso artistico. All’una e trentacinque circa il Pjazza di Bellaria Igea Marina si svuotava e diventava la culla dei nottambuli e dei lunatici, quelli che non si arrendono mai e, se si arrendono, lo fanno in grande stile. Erano loro il primo pubblico delle canzoni di questo disco, registrate su una cassetta in un pomeriggio d’agosto del 1989. Pochi mesi più tardi, la cassetta finì nello stereo di Francesco Guccini in via Paolo Fabbri 43, e da lì nelle generose mani di Renzo Fantini, manager e produttore dello stesso Guccini e di Paolo Conte. Un anno dopo la registrazione di quella cassetta, sempre ad agosto, il disco prese vita e divenne una sorta di film noir. Un round midnight girato nell’Emilia dei Cccp e di Pier Vittorio Tondelli. Alla fine dell’estate 1990, una sera, nel locale Il posto di Verona c’era anche Enrico De Angelis, che segnalò Capossela ad Amilcare Rambaldi per invitarlo al Premio Tenco di quell’anno. «Vinicio seguiva stilisticamente una strada che noi amavamo moltissimo: quella di Tom Waits e di Paolo Conte. […] Ci colpì il fatto che quel modo di scrivere e cantare […] avesse trovato un continuatore». Nel 1991 il disco fu premiato con la Targa Tenco per la migliore opera prima, in ex aequo con “Passa la bellezza” di Mauro Pagani. Così quell’orario di esibizione si è trasformato in un disco odoroso di pioggia e moquette. Lampi biografici, canzoni scritte ad anticipare la vita quando ancora ci si faceva pace. Asfalto, lamieroni, locali epifanici come l’Escandalo o il Corallo. Istantanee disarmanti che rendono epico il viaggio, in cui è il suono, più che il senso delle parole, a dare corpo al mondo. «I suoni fanno da sfondo a un mondo immaginario. Un mondo pieno di guai, affollato di guitti stralunati, strade chiassose e vecchie macchine». I suoni sono quelli di Antonio Marangolo, Jimmy Villotti, Ellade Bandini, Enrico Lazzarini.
Tutto è partito da una melodia al pianoforte che ricordava una canzone di Dylan, “I was young when I left home”. Le parole ce le ha messe la vita con le sue fratture, e quel soffio ha allargato tutta la geografia. È l’epica del pianobar.