Presidente della società di consulenza aziendale Nomisma, il professor Davide Tabarelli è stato ospite dell’Aca a Serralunga d’Alba affrontando il tema “Crisi e transizione: quale energia?”. Gli abbiamo chiesto qualche riflessione in più, considerando l’attualità dell’argomento.
Presidente, in questo periodo si parla tanto dei rischi energetici a cui andremo incontro da qui a pochi mesi. Allarmismo giustificato?
«Lo si vede dalle bollette, dalle fatture delle aziende: è uno shock energetico stile anni ’70, per le famiglie e per i negozi le spese sono più che raddoppiate in un anno. Le imprese hanno registrato aumenti anche di quattro o cinque volte. Quindi è giusto parlarne, il problema per l’inverno non sarà solo una questione di prezzi ma di quantità che possono venire a mancare».
Ora ci si interroga su ciò che si poteva fare, negli anni, e anche recentemente per prevenire questa situazione.
«Una tragedia come quella scatenata dalla Russia ha causato un vero cataclisma. Tuttavia ci scopriamo ora molto esposti, sarebbe stato meglio se avessimo provveduto a dotarci di più rigassificatori, con una maggiore disponibilità di carbone, energia elettrica e rinnovabili. Abbiamo un sistema elettrico poco flessibile che dipende per una buona metà dal gas e questo al 90 per cento lo prendiamo dalla Russia, quindi siamo messi male. Potevamo in passato muoverci diversamente, ma adesso è come sparare sulla Croce Rossa».
Nel concreto, cosa si può fare?
«Innanzi tutto, valutare le ipotesi peggiori e non aver paura di parlare della crisi di quantità che avremo in inverno. Fare esercizi, immaginare alternative in caso di ammanco delle forniture. A gennaio o febbraio probabilmente affronteremo razionamenti. Speriamo di no, ciò avverrebbe solo se la Russia tagliasse del tutto le forniture, ma visto il contesto non è un’ipotesi da escludere. Tornando indietro, bisognerà insistere nel trovare una flessibilità per disporre di tutte le centrali a carbone aperte ora e ovviamente delle rinnovabili, prima soluzione di risparmio per miliardi di metri cubi di gas anche se non molto nell’immediato. Poi dovremo pensare a diversificare, che in fondo è quello che ha fatto già il governo, aprendo ad Algeria e Azerbaigian. E agire con i rigassificatori che abbiamo, questo per arrivare a una normalizzazione più o meno entro la primavera del 2023, forse più in là».
Se riusciremo a riorganizzare la gestione delle fonti energetiche, avremo un futuro sotto controllo?
«Dipende da quanto futuro. Credo che in tre o quattro anni riusciremo a tornare in condizioni normali se avremo fatto i giusti investimenti. Di gas nel mondo ce n’è tantissimo, ma fare a meno di quello che arriva dalla Russia non sarà una passeggiata, il problema è far passare questo shock notevole di prezzo e questo inverno di fisica mancanza di quantità».
Non è un ambito che la riguardi, ma crede che la crisi di Governo possa rappresentare un ulteriore ostacolo?
«Non più di tanto. Certo non aiuta, però non è che il governo di prima abbia preso decisioni di grande respiro e strategia. Ha agito sempre per emergenza e per tamponare. Tutto sommato, esagerando un po’, con un ricambio politico e, dopo le elezioni, con una maggioranza forte, più razionale e meno visionaria, magari si riesce a fare qualcosa».
Che cosa pensa del futuro elettrico dell’automotive già deciso in Europa a partire dal 2035?
«Intanto che la norma non è stata ancora approvata e poi che rappresenta una fuga dalla realtà. Se consideriamo che in Europa le emissioni di Co2 prodotte dalle automobili rappresentano il 2 per cento di quelle globali, allora lo sforzo che ci attende è sproporzionato e tutto ciò è indicativo di come la politica europea sia molto condizionata dall’ambientalismo. In nome della salvezza del pianeta si persegue una politica donchisciottesca, nell’incertezza della crisi e si distrugge un’industria di grande eccellenza europea come quella dell’automotive a combustione interna, un’eccellenza mondiale».
Come andrà a finire, allora?
«Io credo che non si arriverà alla decisione di vietare la produzione delle auto a combustione interna e che saranno rivisti gli obiettivi. Quello che è stato fissato è talmente ambizioso che potrebbe essere attuato solamente in un paese dove c’è un forte comando e controllo. In Cina però, per fare un esempio, non ci pensano perché è qualcosa che va contro la fisica, l’auto elettrica risponde a esigenze di trasporto che non sono quelle dell’auto tradizionale. Questa ha a suo favore caratteristiche di autonomia, velocità, rifornimenti rapidi e bassi costi, mentre l’auto elettrica ha alti costi e va bene principalmente per un utente ricco, che fa piccole percorrenze. È un altro tipo di mobilità, ben venga, ma bisogna che sia tutto chiaro».
Tornando alla transizione energetica, in Italia – dall’idroelettrico ai biogas – potenzialmente ci sarebbero le condizioni per attuarla. È d’accordo? Che cosa pensa delle comunità energetiche che, anche in Piemonte e nel Cuneese, stano nascendo?
«L’idroelettrico sarebbe utilissimo, ma purtroppo è come parlare di nucleare che non riusciremo ad adottare in Italia. Rifare oggi quei giganteschi laghi artificiali che furono realizzati negli Anni Venti del secolo passato non sarebbe possibile per le opposizioni ambientalistiche, idem per il fotovoltaico. Anche qui, la gente non vuole vedere pannelli in una bella coltivazione di vite, in un campo di agricoltura sostenibile, c’è sempre una bella collina con skyline sul mare da tutelare, le difficoltà sono enormi. Anche per quanto riguarda il biogas, il biometano. Le comunità energetiche sono distrazioni, non si valuta che per una grande produzione serve un’energia di transizione che al momento non c’è».
È stato ospite nelle Langhe: che impressioni ha ricavato?
«Ho avuto la possibilità di girare in bici tra le colline che da sempre desideravo conoscere e dove non ero mai stato. Mia madre da piccolo mi comprava la crema che si fa con le nocciole di qui. Ho avuto conferma che dove c’è grande attività per creare grande qualità, esiste anche un’attenzione per il patrimonio che nessuno vuole rivoluzionare con pannelli e pale. Ma serve energia elettrica. Siamo dentro una trappola: da una parte si continua a parlare di questi argomenti che piacciono, ma la realtà è un’altra. La qualità che c’è nella lavorazione di una bottiglia di vino è altissima. Penso anche alle botti in alluminio, alla rifrigerazione, a tutte le fasi di conservazione. E poi al turismo di altissima qualità, all’aria condizionata e alla capacità delle reti di produrla. Non vedo alternative».
Ci vuole senso pratico?
«Adesso in particolare, ma da sempre. Se siamo finiti dentro a questo cataclisma è anche per un dibattito che si basa su argomentazioni visionarie. Tutti vorremmo l’efficienza energetica, ma senza flessibilità non potremo raggiungerla».