Se n’è andato in punta di piedi, a un passo dai novant’anni, fiaccato dalla malattia che da tempo l’aveva assalito. Venuto al mondo nella Saluzzo povera degli anni Trenta, Luciano Nizzola ha chiuso gli occhi per sempre a Torino: una manciata di chilometri che recintavano un mondo, nonostante la vita dal respiro internazionale, perché si può scalare la società, diventare un’eccellenza, e rimanere felici con le piccole cose di sempre, dentro le strade di sempre, accanto ad amici invecchiati insieme, tra sfide a tennis e discussioni sul quel calcio attraversato in ogni latitudine da dirigente, che continuava ad amare ma in cui faticava a riconoscersi.
Non, si badi, per incapacità d’adattarsi al tempo, per quella tenera nostalgia dei vecchi che idealizzano il ricordo e malsopportano evoluzioni di tecnologia e costume, semmai per naturale incompatibilità tra il suo garbo e gli strepiti di un movimento imbizzarrito. Riuscirebbe, oggi, senza mai alzare la voce, gentile con tutti, a incidere le stesse tracce? C’è una parola ricorrente in questi giorni di rimpianto e di dolore, un ritratto striminzito e vero: “Galantuomo”. E questo spiega molto dell’uomo semplice, dell’avvocato raffinato, del dirigente affacciato sul futuro. D’altro canto, a scacciare le nubi dell’equivoco, escludere quella ciclica incapacità anagrafica di accettare il mutare dei tempi immalinconendosi nella modernità, provvede una riflessione banale: nel calcio i tempi li ha mutati lui, introducendo una rivoluzione, traghettandolo il pallone durante il suo mandato di Presidente di Lega da un’epoca poco rimunerativa a una di benessere, coincidente con lo sbarco delle pay tv il mercato dei diritti televisivi. Fu tacciato, allora, di appoggiare i poteri forti, in realtà aveva solo intuito che il football doveva attraversare i confini angusti del romanticismo e sfruttare un potenziale enorme, inespresso. Prima d’approdare in Lega era stato, tra il 1982 e il 1987, amministratore delegato del Torino, dopo divenne presidente Figc, dal 1996 al 2000. Al vertice federale ottenne ottimi risultati attraverso la diplomazia, l’ascolto e la mediazione non disgiunti dalla determinazione, difatti il ricordo dell’attuale successore, Gabriele Gravina, è quello di «un dirigente galantuomo il cui spirito di servizio e la disponibilità hanno segnato un’epoca. Nei diversi ruoli che ha ricoperto s’è distinto anche per l’impulso deciso che in quegli anni è stato impresso al nostro sistema».
Nel nuovo millennio s’è dedicato appieno, di nuovo, alla professione forense, a Torino, senza mai staccare con Saluzzo dove aveva le radici e con attigui luoghi del cuore, Dronero su tutti: terre degli avi di cui aveva ereditato i valori, rievocati, tra gli altri, da Beppe Dossena, campione d’un Toro che Nizzola seppe rendere competitivo pur negli anni d’oro di una Serie A zeppa di fuoriclasse, da Zico e Michel Platini a Diego Armando Maradona: «Una persona d’equilibrio, un saggio, un uomo che non è mai sceso a compromessi». Parole tra mille, tutte belle: il ricordo è un fiorire di “Rigore etico” e “Moderazione sabauda”, mentre le persone comuni ne decantano unanimemente la modestia, e per una volta, nel momento del dolore, non si spande profumo di retorica.