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L’opinione di Alberto Angela

«Lui voleva arricchire le conoscenze di tutti. così ho voluto scrivere di quando, ammirando quei capolavori antichi, ho condiviso la loro forza»

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IL FATTO
la morte del padre piero è avvenuta negli stessi giorni in cui si celebrava il ritrovamento dei bronzi di riace, 50 anni fa.
Le emozioni davanti ai tesori e una dedica speciale

Una scoperta straordinaria, avvenuta – come spesso accade – per caso. Sono passati 50 anni dal ritrovamento dei bronzi di Riace, da quella magia emersa dal mare grazie alla curiosità di un turista romano (Stefano Mariottini) che quel 16 agosto del 1972 stava facendo pesca subacquea a circa 300 metri dalla riva. Nell’acqua limpida dello Ionio, sulla costa della Locride, a un certo punto scorge un braccio. Va a fondo, lo tocca, si rende conto che è metallico. La sabbia si solleva sotto la spinta dell’acqua e la meraviglia si svela: sono due statue.
Alberto Angela ha raccontato per Repubblica la storia dei bronzi di Riace. Lo ha fatto scrivendo il suo articolo proprio nei giorni tristi della perdita di suo papà Piero, il gigante della divulgazione scientifica in Italia che ci ha lasciati lo scorso 13 agosto. «Gli eventi mi hanno posto davanti al dubbio se fosse il caso di andare avanti con questa operazione editoriale (la riedizione del libro dedicato ai tesori di Riace, ndr). Ho esitato molto. Poi ho concluso che anche mio padre Piero lo avrebbe voluto. Innanzitutto perché si tratta di approfondire e divulgare un importante tema storico e archeologico. E poi perché è soprattutto un’occasione per valorizzare un simbolo dell’immenso patrimonio storico e artistico dell’Italia, al quale anche lui ha dedicato molte delle sue attenzioni. Per onorare quello che è sempre stato il suo vero obiettivo, informare e arricchire di conoscenze le persone».
Ed ecco la magia infinita dei bronzi: «Affascinano per diverse ragioni. Si rimane sbalorditi dalla loro prestanza e dai dettagli accurati: le spalle ampie e aperte, i denti in argento, i capezzoli in rame, i riccioli che sembrano muoversi come scossi da un’improvvisa brezza, i piedi con delle leggere deformazioni a suggerirci che sono piedi veri, di uomini che hanno realmente camminato, corso, combattuto». Una bellezza che esplode nel momento in cui si ha la fortuna di vederli da vicino (ora sono al museo archeologico di Reggio Calabria) e che contagia inevitabilmente: «Quando me li sono trovati davanti ai miei occhi – racconta Alberto Angela – per la prima volta dopo la lunga fila al Quirinale, è stato come ritornare indietro nel tempo di migliaia di anni. Era come se a guardarli si potesse percepire tutta la forza del mondo in cui erano vissuti. Non sono stato colpito solo dalla loro bellezza, ma dal fatto che il segreto che vi si annidava dentro li rendesse umani. Semplicemente vivi. Ho pensato che se avessi potuto poggiare il palmo della mia mano sul petto di uno dei due, avrei potuto sentire il battito formidabile del cuore».
Bellezza e mistero, perché restano tanti dettagli senza spiegazione sulla provenienza e sull’origine delle due statue che il mare ha restituito alla storia. Qualcuno li aveva gettati lì, destinandoli all’oblio. Ma la magia è tornata, esattamente cinquant’anni fa.