Ci sono figli che nascono dalla pancia e figli che nascono dal cuore. Mamma Luisa ricorda come fosse oggi il primo incontro con Yeman, in un orfanotrofio di Adis Abeba: aveva sette anni e «gli occhi da furbetto, una simpatia rara ed era bellissimo. Però – sorride – io sono di parte».
Yeman, come tanti altri bambini, sognava una famiglia nuova dopo aver perso i genitori naturali, uccisi da una malattia infettiva durante la guerra tra Etiopia e Eritrea per il controllo della zona di Badbe che aveva già portato povertà, dolore, paura. Non era solo, però. Per farsi coraggio poteva stringere la mano dei fratellini. Mamma Luisa e papà Roberto, lasciato lo skyline milanese per un borgo trentino abbarbicato a 1.200 metri dal nome simbolico Montagne, avevano fatto domanda d’adozione per riempire d’allegria una grande casa di pietra e legno immersa nella natura, e quand’erano partiti dall’Italia sapevano che Yeman aveva due sorelline più piccole, Mulu di cinque anni e Mekdesdi di tre. Solo in Etiopia hanno scoperto che ce n’erano altri tre, di 11, 14 e 15 anni, e anche tre cuginetti a loro volta rimasti soli e legatissimi. Decisero di non separarli, avviarono nuove pratiche, prepararono nove lettini e si immersero in una vita di sacrifici e di gioia, di coraggio e d’amore: un amore unico più forte del loro, a un certo punto spento come succede a tante coppie. Oltre a Yeman, Mulu e Mekdesd hanno tirato su Neka, Kalamu, Gadissa, Elsa e Asna. E Uonishet, che oggi non c’è più, tradita dal destino in un incidente stradale. Hanno passato i vestiti da uno all’altro, insegnato cos’è necessario e cosa superfluo, mai scialando eppure mai mancando di cibo, libri di scuola, medicine.
Tra gli svaghi, c’era lo sport. E Yeman era il più portato, bravo a calcio – sognava di diventare Stankovic o Eto’o, essendo interista come papà Roberto – come nella corsa, e quando Marco, il primo tecnico, gli consigliò di scegliere decise di correre ma senza trascinare un pallone: «Da solo» diceva, perché non c’era storia, compagni d’allenamento e avversari arrancavano sempre staccatissimi, e ha corso senza fermarsi mai fino a Monaco, dove, in maglia azzurra, ha conquistato la medaglia d’oro nei diecimila metri ai campionati europei. E subito dopo ha afferrato lo smartphone e scritto un whatsapp: «Grazie mamma». Ha aggiunto un cuore e ne ha ricevuti decine in riposta, e intanto tornava all’infanzia e sfogliava ricordi tristi che si coloravano pian piano: la prima casa a Dessie, all’ombra del monte Tossà, il nascondino per strada, la solitudine e le lacrime improvvise, la bugia dei parenti che all’orfanotrofio giurando di tornare non si sono più visti, la lotta per un letto e poi un papà e una mamma venuti da lontano, una vita nuova non più fatta di privazioni e tuttavia improntata all’essenziale, senza giochi né abiti costosi: «Quando per te quello che hanno gli altri è un miraggio, ti impegni ad ottenerlo, a non darlo per scontato. Sono stato fortunato, come i miei fratelli e i miei cugini, perché ci è stato dato un futuro». Yeman – che all’anagrafe è Yemaneberhan, “braccio destro di Dio” – è diventato un campione, ma tutti sono indipendenti e Roberto e Luisa sono orgogliosi. Campioni loro, per primi, nel tirarli su. «Ma abbiamo dato uno e ricevuto un milione».
Storia d’amore e coraggio
Yeman Crippa, oro agli Europei di atletica, è stato adottato a sette anni. Viveva in un orfanotrofio etiope con cinque fratellini e tre cuginetti che Roberto e Luisa non hanno voluto dividere. E hanno tirato su con gioia e sacrificio