Le sfide chiamano e il team Go Eleven risponde lanciando, come sempre, «il cuore oltre l’ostacolo». Parola di Gianni Ramello, team owner della scuderia.
Alla luce di questi mesi di gare, quali ritiene siano i punti di forza del team Go Eleven?
«Ritengo che la forza di un team sta nella capacità di amalgamare tante persone e caratteri diversi in modo da raggiungere tutti insieme un unico obiettivo. Non sempre questo è facile o semplice, ma data la grande esperienza che abbiamo, riusciamo a gestire al meglio questo aspetto. È un sistema complesso e molto schematico e gerarchico (un po’ cozza con il mio modo di agire), ma deve essere così. Non possiamo sovrapporre ruoli o scambiarli, ogni persona è destinata ad una specifica fase, sia che sia personale del box o personale dell’hospitality. È l’unico sistema che va adottato per non creare confusione ed ottimizzare i lavori da eseguire. Poi, una volta terminato il lavoro, è fondamentale che si crei un gruppo di amici, di persone che stanno bene le une con le altre. L’armonia in un team è fondamentale, e deve andare di pari passo con la professionalità lavorativa!».
Quanto si è dimostrato soddisfacente il confronto e l’apporto di Philipp Oettl?
«L’arrivo di Oettl è stato molto soddisfacente. Siamo tornati al nostro Dna: avere un pilota giovane da fare crescere. Non verranno subito grandi risultati ma per tutto il team è uno stimolo forte, importante. Ogni piccolo miglioramento è sempre salutato con grande gioia. In termini di risultati, i passi avanti che sta mostrando sono notevoli ed è sempre in lotta per entrare nei primi dieci, nel suo anno di esordio. Il suo metodo di lavoro è molto professionale, quindi collabora bene con la squadra. Ora ci manca poco per lottare nei primi cinque… magari ci possiamo togliere qualche soddisfazione in futuro, visto che lo abbiamo confermato anche per il 2023!».
E allora, quali i progetti per il futuro che pensate di poter realizzare, vista l’esperienza maturata in questi anni?
«Il futuro bisognerebbe conoscerlo… Certamente per il 2023 abbiamo tutto definito con Phlipp, ma il team deve crescere. È come un’impresa e in questo tipo di azienda occorre puntare al massimo, cioè avere due piloti. Lo sforzo economico è troppo elevato per un team privato, se non troviamo sponsor non possiamo fare un passo del genere. Potrebbe rimanere una fase incompiuta della storia di Go Eleven. Noi lavoriamo in questa direzione e un giorno magari avremo l’opportunità di schierare due moto competitive nel WorldSbk!».
Quali sono stati i momenti più belli e quali i più difficili nel suo ruolo in Go Eleven?
«I momenti più belli sono quando ottieni dei risultati, la gioia è immensa, non si può descrivere, ma ci sono anche momenti molto belli nel vedere la nostra Hospitality sempre colma di gente, e soprattutto nell’osservare tutti i ragazzi e ragazze del team che si divertono, che lavorano con tanta passione. Il momento più difficile è stato nel 2013 con la morte di Andrea. In quel giorno pensi solo a smettere a finire tutto, non puoi sopportare una disgrazia del genere. Poi la passione prende il sopravvento e a mente fredda ti rendi conto che hai dato delle opportunità hai fatto le cose giuste e sei convinto che la cosa migliore è continuare soprattutto per rispetto di chi non c’è più e aveva creduto in te, per rispetto del team e anche di te stesso e della tua famiglia. Non puoi buttare al vento anni di sacrifici. Poi ci sono molti momenti difficili, forse più che momenti belli…vedi problemi durante le gare, ogni anno per trovare il budget per la stagione. Sono tante le difficoltà dove il tuo ruolo deve essere quello di dare forza e certezza agli altri e anche a te stesso, convincerti che anche l’anno dopo riuscirai ad andare avanti. È complicato, è difficile, se non lo si prova difficilmente lo si può capire, ma per me è fondamentale avere degli obiettivi ed avere delle soddisfazioni sportive. Questo, unito alla passione ed alle persone che vi lavorano, è il motore della squadra!».
Tornando ai piloti, quanto è difficile sceglierli e riuscire a domare i loro caratteri, le loro esigenze?
«Trovare il pilota, oggi che siamo con Ducati, è un’operazione più semplice che nel passato. La moto è un’icona, è molto competitiva e tutti vogliono salirci sopra. Il problema è come sempre legato al budget… piloti di certa caratura necessitano di ingaggi che noi non possiamo corrispondere. Comunque fare una scelta dipende da molti fattori, dai risultati ottenuti negli anni passati, dal modo di guidare la moto in pista, da sensazioni che hai che ti fanno propendere per un pilota od un altro. Ovviamente è sempre un salto nel buio, non è facile trovare quello che vorresti. Dal punto di vista caratteriale la faccenda si complica… te ne accorgi dopo qualche gara, tendenzialmente devo dire che i miei piloti si sono sempre sentiti come in famiglia e sono nati dei forti legami e delle ottime sinergie, ma basta commettere qualche errore e molte volte si incrinano delle certezze e delle convinzioni. I piloti non perdonano molto… bisogna essere sempre attenti alle loro esigenze legittime e dare a loro il massimo impegno».
All’estero come è considerato il team Go Eleven?
«Il Team è molto conosciuto e abbiamo molti followers anche all’estero. Il lavoro che sta facendo in questo senso mio figlio Elia sta facendo continuamente crescere la nostra immagine e sta dando grossi risultati in termini di visibilità internazionale. Negli ultimi anni il passaggio a Ducati, l’ingaggio di Laverty, Chaz e oggi Philipp, che sono personalità molto conosciute sia nei loro paesi di origine che nel mondo, ci ha aiutato moltissimo in termini di visibilità! Inoltre cosa spinge il nostro brand awareness sono sempre i risultati!».
Pensava di riuscire in questa splendida avventura? E soprattutto quali sacrifici sono stati necessari alla realizzazione di questo sogno?
«Sì sinceramente pensavo di riuscirci perché normalmente se mi metto qualcosa in testa devo riuscire a farla. Il problema è che questa avventura costa parecchi soldi e non produce un vero reddito se non a livello di gratificazione per i risultati ottenuti, pertanto magari non tutti sarebbero disposti a fare determinati sacrifici finanziari, non credo ci siano molte persone disposte a ragionare senza un vero e proprio ritorno economico determinato. Se fai un lavoro o vendi qualcosa vieni remunerato, se vinci o ti comporti bene con un team (stiamo comunque parlando di Mondiale SBK, la massima espressione del motociclismo in pista dopo la MotoGp) la remunerazione può arrivare solo da nuovi sponsors, il problema è che non ci sono collegamenti tra le due cose e vincere non vuole dire ottenere più budget… anzi ti obbliga a mantenere uno standard elevato e investire di più e quindi incrementare i tuoi sacrifici finanziari. Non dimentichiamo che noi abbiamo un altro lavoro quindi dobbiamo aggiungere i sacrifici enormi di tempo… il campionato ci fa stare via da casa per molti giorni all’anno, e spesso abbiamo tante persone in viaggio. Poi, però, quando uno si ferma un attimo e ragiona su quello che è il team oggi, una delle migliori squadre a livello mondiale, che può competere ad alti livelli e con buoni piloti nel worldSBK, contro colossi del calibro di Yamaha, Honda, BMW, Kawasaki, genera un’emozione unica e spinge sempre a fare un piccolo passo avanti».