Carolina Picchio è una ragazza intelligente, altruista, sportiva e sognatrice, ma quella notte, tra il 4 e 5 gennaio 2013, la fragilità di adolescente prende il sopravvento e “Caro” si toglie la vita. Troppo grande l’umiliazione di vedersi in un video mentre, priva di coscienza, dei suoi coetanei giocavano con il suo corpo mimando atti sessuali. Troppo pesante leggere tutti quegli insulti postati sui social che rilanciano quelle stesse immagini terribili. Eppure – si legge ancora sul sito della fondazione a lei intitolata – al centro delle offese, migliaia di commenti da gente che neanche conosceva, c’era lei. Proprio lei, che neppure ricordava quel che fosse accaduto durante quella festa di un paio di mesi prima. Un peso insostenibile da sopportare: tutte quelle ingiurie mettevano in dubbio la sua reputazione. Carolina, disperata, prima di lanciarsi dalla finestra di camera sua, a Novara, scatta un ultimo selfie per salutare un’amica, poi il messaggio d’addio, diventato un monito per intere generazioni: “Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno”. Il video della storia di Carolina – forte, duro, volutamente scioccante – è stato uno dei passaggi più toccanti del convegno contro il bullismo e il cyberbullismo promosso nei giorni scorsi ad Alba, nell’ambito del torneo di calcio benefico “Alba dei Campioni” organizzato dalla Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus, con il patrocinio del Comune di Alba e della Regione Piemonte. A presentare l’evento è stata una delle voci più conosciute e apprezzate del mondo calcistico, Fabio Caressa. Al termine del dibattito (di cui parliamo anche nelle due pagine successive) abbiamo colloquiato con il giornalista di Sky, interpellandolo come esperto del mondo sportivo ma anche come padre. L’icona del commento sportivo, voce storica dei trionfi della Nazionale azzurra al Mondiale 2006 e, di recente, agli Europei, è sposato con la giornalista e conduttrice tv, Benedetta Parodi, che lo ha reso padre di Matilde, Eleonora e Diego.
Caressa, si avvertiva emozione nelle sue parole…
«Sono legato a Luca Vialli e Massimo Mauro da un’amicizia personale. Condivido con loro la lodevole esperienza della Fondazione. Lo faccio semplicemente da amico, loro sono impegnati in prima persona. Ciò che fanno è davvero molto importante. E poi, in generale, sono due grandi uomini di sport: mi hanno insegnato molto da questo punto di vista».
È sensibile anche alla tematica del bullismo?
«Sì, come giornalista e come padre. Credo che negli anni passati questa problematica sia rimasta un po’ troppo nascosta o, comunque, che non se ne sia parlato abbastanza. E non è un bene perché la non conoscenza di un problema può decisamente peggiorare le cose. Conoscere l’avversario significa scendere in campo con già un metro di vantaggio».
Quanto è presente nelle nostre vite il bullismo?
«Tutti siamo stati vittime di bullismo e tutti, in qualche modo, siamo stati responsabili di episodi di bullismo. Per contrastare questo triste fenomeno sono stati fatti passi avanti, sono nate anche leggi specifiche. Ma i casi rimangono tantissimi, anche perché i social hanno moltiplicato le “possibilità” a disposizione dei bulli che possono compiere i loro ignobili atti pure restando anonimi. Occorre il contributo di tutti perché l’alba del domani sia migliore».
Cosa possono fare i genitori?
«Stare attenti non tanto a ciò che fanno i propri figli, ma a come i propri figli sono e a come si sentono. È importante cercare di capire che sensazioni stanno provando. Ma non è facile, perché spesso i figli non hanno voglia di parlare con mamma e papà. Dalla nostra abbiamo il fatto che siamo già stati adolescenti e, pertanto, sappiamo quali sono i problemi che possono incontrare, specie durante l’adolescenza. Quindi, dobbiamo stare il più possibile al loro fianco, senza insegnare a tutti i costi, ma cercando piuttosto di comprendere il loro stato d’animo. Ciò non significa essere accondiscendenti, bensì mettersi nei loro panni o, meglio, come dicono gli inglesi, mettersi nelle loro scarpe. In questo modo, potremmo riuscire a trovare quelli che sono gli strumenti utili per aiutarli».
Lo sport può essere d’aiuto?
«Certo, può servire all’intero Paese per rilanciarsi. La prima cosa che lo sport può insegnare al nostro Paese è credere e avere fiducia nei giovani. Mi viene da ridere quando sento dire che le squadre di calcio italiane dovrebbero fare giocare i ragazzi dei settori giovanili, quando nei comparti dell’economia, del sociale e della politica i ragazzi vengono puntualmente messi da parte…».
Chiudiamo con una battuta sul Piemonte. Ci torna sempre volentieri…
«Mia moglie ha una casa di famiglia vicino a Ovada e, quindi, ormai sono un cittadino adottivo del Piemonte e, in particolare, del Monferrato ma anche delle Langhe. E poi si mangia e beve divinamente. Mi trovo alla grande tra queste colline».