«Il Monregalese nel mio cuore e sullo schermo»

Il percorso professionale dell’ex vicesindaco Luca Olivieri: regista, autore e molto altro

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Regista, sceneggiatore, autore e narratore. I suoi documentari e reportage di viaggio sono stati trasmessi da Rai, Mediaset e Sky in format televisivi quali “Geo&Geo”, “Timbuctu”, “Ballarò”. Luca Olivieri, vicesindaco con delega alla Cultura di Mondovì dal 2017 al 2022, è personaggio eclettico che spazia a tutto tondo nei territori della comunicazione, dal corporate storytelling (Valeo, Iren, Enav…) sino agli allestimenti museali. Una carriera avviata a Milano, dov’è nato, e fortemente radicata nel territorio monregalese da cui, tutt’oggi, trae ossigeno e ispirazione. Ha vinto per due volte il premio Chatwin per il miglior reportage di viaggio, nel 2003 e nel 2010, e un premio Solinas come miglior sceneggiatura con Le Balene di Gajas, dal quale è stato tratto un libro.

Attualmente vive in Francia, ha raccontato una buona fetta di mondo, ma ha profonde radici Monregalesi. Ci racconta il suo percorso professionale e cosa conserva della sua terra quando racconta le terre “altrui”?
«In realtà nasco come fotografo. Erano gli anni ’80, abitavo a Milano e tutti ambivano a diventare fotografi di moda. Dopo aver fatto un po’ di gavetta come assistente presso alcuni maestri, ricordo su tutti il ritrattista Enzo Nocera, mi accorsi che l’immagine in movimento destava in me più curiosità dell’immagine fotografica. Quindi mollai pellicole e lastre per avventurami nel mondo delle televisioni private che erano in pieno fulgore. L’esperienza più formativa l’ebbi proprio con un’emittente del nostro territorio: Telecupole. Furono anni divertenti, imparai velocemente a maneggiare telecamere, mixer video e centraline di montaggio. I miei colleghi erano Schellino, Gastinelli, Sabbatini guidati tutti da uno smagliante Beppe Ghisolfi. Dopo quella scuola, fu tutto un po’ in discesa. Mi misi in proprio, iniziai a collaborare con Rai, Mediaset e diverse agenzie di comunicazione. La provincia di Cuneo mi ha formato tecnicamente, ma ha generato in me la voglia di conoscere altro, di viaggiare. Spesso il mio lavoro mi ha portato ad allontanarmi da casa. Tuttavia ci ritorno spesso e ogni volta è un frullare di emozioni che spesso si trasformano in nuovi progetti».

Lei è stato vicesindaco a Mondovì. Cosa l’ha spinta a mettersi in gioco e come e quanto, l’esperienza artistica, ha influito sul lavoro per la città?
«È stata un’esperienza bellissima che mi ha fatto crescere come persona e anche professionalmente. Devo ringraziare il sindaco Paolo Adriano per la fiducia che mi ha concesso. Se dovessi sintetizzare la mia esperienza direi che è partito tutto da un punto di vista, il mio. A volte guardando un paesaggio basta spostarsi di qualche passo a lato per scoprire nuove prospettive. Ho cercato di valorizzare ciò che Mondovì ha, spostandomi di qualche passo a lato. Alcuni monumenti bastava raccontarli in un modo diverso e sarebbero tornati interessanti anche agli occhi di turisti distratti o per i “nuovi” turisti. Non potevo ovviamente fare a meno delle mie esperienze professionali pregresse: uso dell’immagine e della tecnologia. Così è nato Infinitum con i visori VR (realtà virtuale, ndr), poi il nuovo Museo della Stampa con il percorso interattivo, ora il tunnel sonoro sotterraneo raccontato dai Marlene Kuntz. L’idea è che si possa collegare tutto a una rete piemontese e poi nazionale. La tecnologia oggi lo permette».

Recentemente ha portato a Mondovì la carovana di “Don­navventura”. Come si trasmette l’amore per un territorio complesso, ancora “inesplorato” e ricco di potenzialità come il monregalese?
«Con “Donnavventura” collaboro come cameraman. Appena posso adoro stare ancora dietro la telecamera. Il format mi ha permesso di girare il mondo lavorando e divertendomi. Con la produzione, la redazione, i tecnici e gli autori ho un rapporto fraterno. Serviva per il 2022 un luogo per la chiusura della serie. Mi è bastato mandare loro qualche scatto fotografico del cuneese per accendere un entusiasmo raro a vedersi: mongolfiere, montagne, Santu­a­rio di Vicoforte, Antica via del Sale. Tutto era perfetto. Grazie all’aiuto dell’Atl abbiamo messo su la trasferta. Un aneddoto: i tecnici montatori guardando il monregalese dai loro monitor si sono presi una bella pausa dal lavoro per organizzare un gita fuori porta nella nostra città. Non la conoscevano e ne sono rimasti meravigliati».

Il progetto più visionario realizzato per Mondovì o per il quale ha posto le basi?
«Sicuramente il recupero “archeologico” del Teatro Sociale. È un luogo di grande fascino, i crolli e il tempo hanno plasmato quel sito in maniera misteriosa e affascinante. Di lì sono passati attori illustri ormai scomparsi; intere generazioni di monregalesi hanno riso e si sono commossi con lo sguardo rivolto alla luce fioca di quel palcoscenico. Il lavoro di recupero è in via di completamento. Insieme alla mia collega di giunta Sandra Carboni abbiamo immaginato quel luogo come un luogo di contemplazione e di emozione. I visitatori entreranno in palcoscenico, sospesi su una passerella e guarderanno il teatro, come fossero loro stessi attori. Un’illuminazione scenografica e un buon lavoro di sound design faranno il resto. Sarà un sito che ben si raccorderà con il tunnel sonoro sotterraneo sotto Piazza Maggiore di cui ho parlato in precedenza».

Progetti futuri?
«Attualmente sto lavorando a diversi percorsi museali. Altri sono in via di definizione. Aver realizzato i video e firmato la regia per la mostra Mater Amazzonia ai Musei Vaticani mi ha offerto nuove opportunità. Mi piace molto raccontare il mondo attraverso un percorso, un piccolo viaggio che lo spettatore deve fare fisicamente: oltre al tempo narrato si aggiunge la dimensione dello spazio percorso. E questo è un bel gioco da fare insieme ad altri professionisti che intervengono nella progettazione come architetti e allestitori».

Qual è l’esperienza che l’ha emozionato, turbato o colpito di più in questi anni?

«È sempre difficile fare una classifica. Ho visitato tanti luoghi e conosciuto tantissime persone, ma posso citare due immagini che ho scolpite nella memoria. La prima risale a molto tempo fa, insieme allo scrittore Raffaele Masto andammo a testimoniare una guerra dimenticata: il conflitto Etiopia-Eritrea. Fu uno shock riprendere una guerra di trincea come non esistono più al mondo, fatto di assalti alla baionetta e morti per i campi. La seconda immagine è molto recente. Ci stavamo addentrando nella foresta amazzonica colombiana. All’improvviso vediamo arrivare un indios verso di noi, evidentemente avvertito del nostro arrivo, che si apre in un sorriso sdentato e mi dice “Mondovì!”. Quella terra è terra di missione. Ci fu un missionario che più di tutti si fece conoscere in quei luoghi: il suo nome era Lino Cuniberti, di Mondovì, vescovo. Una vita spesa per la giustizia sociale. Probabilmente laggiù amava parlare anche della sua bella città. I monregalesi, si sa, sono gente nostalgica».