Home Articoli Rivista Idea «Crediamo nell’arte. Fa bene all’anima»

«Crediamo nell’arte. Fa bene all’anima»

Ad Aba la soprano di fama mondiale Maria Agresta

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L’arte – in qualsiasi for­­ma si presenti – è quella cosa che riesce a trasportarci in una dimensione indefinita col­ma di gioia e bellezza. È la sensazione provata dai tantissimi che, giovedì scorso, hanno assistito, nel­la Chiesa di San Do­menico, ad Alba, al con­certo di Maria Agresta, so­prano campano di fama internazionale scelto come stella dei festeggiamenti per il 555esi­mo anniversario di Tenuta Car­retta. Eravamo presenti anche noi di IDEA.
Agresta, come ha scoperto la passione per il canto?
«Da bimba, quando c’erano le recite oppure si festeggiava il compleanno di mamma, mi piaceva cantare. Ma non pensavo di farne una professione; cantavo solo per esprimere me stessa. Ero silenziosa e taciturna: il canto mi permetteva di comunicare con il mondo esterno».
A casa ascoltavate musica?
«Sentivamo la musica che passava la radio e, ogni tanto, si metteva qualche disco con raccolte di arie d’opera famose. Io ascoltavo e… provavo gioia».
Quando si accorse di avere doti non comuni?
«Al matrimonio di mia sorella – avevo 12 anni – intonai l’Ave Maria e, cantando, la voce fece il cosiddetto “giro di testa”. Il parroco, impressionato, mi disse di coltivare questo talento».
Lo fece subito?
«Mia mamma, che era una donna molto concreta e pragmatica, mi fece aspettare: non voleva che andassi incontro a delusioni. Ma qualche tempo dopo venne a esibirsi dalle nostre parti un tenore. Avevo 16 anni e con un pianista del posto organizzammo un’audizione. Andò bene tanto che quel tenore decise di prepararmi per il conservatorio».
È stato il trampolino di lancio.
«Sono serviti tempo e tanto studio. Al Concorso del Teatro Li­rico Sperimentale di Spoleto co­nobbi quella che poi sarebbe diventata la mia insegnante, Raina Kabaivanska. Uno dei suoi tanti meriti fu quello di capire che, oltre alla voce, avevo ancora molto da esprimere…».
L’opera la aspettava.
«Annullai tutti i contratti già firmati e per un anno mi dedicai esclusivamente allo studio della tecnica. Mi misi in discussione. Del resto, dovevo presentarmi al mondo del teatro in una veste completamente differente».
Uno sforzo ripagato: al Regio di Torino, per i 150 anni del­l’Unità d’Italia, regalò un’esibizione straordinaria che la rese celebre nel mondo.
«Custodisco un ricordo meraviglioso di quell’esibizione, che ancora oggi continua ad avere per me un significato particolare. È uno dei quadri più belli nella mia carriera».
Lei che ha calcato il palco dei teatri più celebri del mondo si emoziona ancora?
«Certo. L’emozione non si può controllare. Alla mia insegnante chiedevo spesso quando sarebbero passate ansia e tensione. Lei mi spiegò che queste sensazioni non se ne sarebbero mai andate ma che io avrei imparato a gestirle: la tensione è l’emozione che ti spinge a presentarti sul palco essendo sempre cosciente di quello che sei e puoi fare».
E quando parte l’esibizione cosa succede?
«L’artista, in quel momento, si dona completamente al canto, alla musica, al pubblico. E io lo faccio sempre con estrema passione e dedizione. È un qualcosa di profondamente difficile, ma estremamente bello».
Cosa pensa di trasmettere con le sue interpretazioni?
«Io provo a essere il filo conduttore tra l’autore del capolavoro che rappresento e il pubblico. Non faccio altro che trasferire un’opera d’arte dalla carta al cuore delle persone».
Il suo “segreto” artistico?
«Mi piace portare in scena un messaggio chiaro, fedele e rispettoso di quella che è la composizione sullo spartito. E poi ci metto sempre del mio, cercando di comunicare al pubblico quelle che sono le mie sensazioni, le mie emozioni. Credo molto nel potere dell’arte, del donare, della bellezza, del candore. La funzione catartica dell’arte di cui parlavano gli antichi c’è ancora, è viva: la tocco con mano ogni giorno. È quello che permette a questi grandi capolavori di resistere al tempo. Se anche solo uno spettatore torna a casa ponendosi una domanda nuova è per me una grande vittoria».
Non crede che occorra accrescere la sensibilità al­l’arte?
«Assolutamente. Per questo, io sono una grande sostenitrice della formazione, dell’educazione, a 360 gradi. Le persone van­no educate all’arte e alla bellezza fin da piccole. Biso­gne­reb­be aiutarle a comprendere quanto grandi siano stati quelli che ci hanno preceduto. Anche perché un bambino educato alla bellezza sarà una persona con una ricchezza interiore più piena e profonda; sarà un adulto capace di vedere il mondo con occhi diversi e di affrontare certe situazioni con una sensibilità particolare».
Da dove si parte?
«Dall’arte e dalla bellezza, non c’è dubbio. Io sono molto arrabbiata con la politica che sembra non aver ancora compreso il valore del patrimonio che custodisce l’Italia. Il nostro è un Paese che dovrebbe vivere di arte, cultura, turismo, cibo e, invece, sembra sempre che i nostri vicini di casa siano migliori di noi. Ma non è così. Noi abbiamo un tesoro unico, non sprechiamolo».
Parlando di tesori… Cosa pen­sa delle colline albesi?
«Le conosco bene anche perché qui vive parte della mia famiglia. Il mio primo incontro con questo territorio risale a quando ave­vo 19 anni. Venni iscritta per caso a un concorso che si teneva a Canale; in quel contesto ebbi l’opportunità di conoscere Magda Olivero. Fu un mo­mento straordinario!».
Sarà quindi orgogliosa di aver potuto festeggiare i 555 anni di Tenuta Carretta…
«Molto. È una realtà speciale, con persone mosse da una passione enorme. In più è im­mersa in que­ste colline che, co­me la Chiesa di San Do­­menico, mi ispirano molto. Sono luoghi con gros­se potenzialità anche dal punto di visita de­ll’arte. È giu­sto puntarci. Anche perché con l’arte si contribuisce a far crescere anime belle».