<Io voglio solo che arrivi sangue al cuore> recita nel ritornello una nota canzone dei Nomadi. Ognuno di noi vuole che arrivi, per continuare a vedere il sole ardere in mezzo al cielo, continuare a stare insieme ai propri cari e ai propri amici. Altrettanto vuole chi è in attesa di un intervento, o giace in un letto dopo una chemioterapia o è stato vittima di un incidente. E da qualche parte il sangue che serve dovrà arrivare.
A sentire i telegiornali ci stiamo magari preoccupando per l’inverno, con la chiusura dei rubinetti di Gazprom, abbiamo paura di dover stare al freddo. Purtroppo e in triste analogia, con il 2020, il lockdown, la pandemia, si sono chiusi altri rubinetti, rubinetti che portavano sangue ai Servizi Trasfusionali e da loro ai malati. E di conseguenza è diventato più difficile far arrivare sangue al cuore. Il 2021 ha riaperto i rubinetti per recuperare 1/3 soltanto del deficit 2020, il primo semestre del 2022 è stato inferiore a quell’ <1/3>.
Inoltre recenti proiezioni comunicate durante una riunione a Torino portano tristemente a prevedere che fra soli sei anni la nostra Regione rischia di non essere più autosufficiente per quanto riguarda la richiesta di sangue e farmaci plasmaderivati. Qualcosa ci sta impedendo di tornare alle raccolte del 2019 e come operatori abbiamo difficoltà a comprendere gli ostacoli di questa che doveva essere una ripresa non solo sperata ma attuata e consolidata.
Con i donatori che si presentato riusciamo a parlare, spieghiamo i problemi legati a questo momento, cerchiamo di rafforzare le loro motivazioni, purtroppo non possiamo parlare con chi non c’è, con chi non si presenta più, con le persone di cui vorremmo capire cosa le tiene lontane da noi. Paura del virus? Falso timore di un maggior rischio di contrarlo all’interno di una struttura sanitaria? Disamoramento verso uno dei più begli atti di volontariato vero? Difficoltà a essere disponibili di settimana a dedicarci un’ora del proprio tempo, magari per problemi legati al lavoro? Difficoltà di parcheggio in prossimità dell’Ospedale?
Queste sono le domande che ci poniamo e a cui vorremmo trovare risposta per poter rimediare, per quanto possibile, alle situazioni cui si può mettere mano.
E poi permettetemi un pensiero dedicato a chi non ha mai provato l’emozione della donazione. Secondo il nostro database abbiamo circa 6000 donatori idonei, in un territorio che comprende le vallate e va verso la pianura fino a Verzuolo, Centallo, avvicinandosi al fossanese ed al monregalese.
Il solo comune di Cuneo ha 55800 abitanti. Presumo che almeno un quarto avrebbe i requisiti per poter donare. E se fosse così basterebbe una donazione all’anno da ciascuno per coprire l’oggi ed il futuro dei fabbisogni, nostri e di chi è più in difficoltà di noi, come purtroppo succede in altre regioni italiane. E’ così difficile trovare un’ora o poco più del proprio tempo, in 365 giorni, da dedicare ad una delle più nobili forme di volontariato?
Sappiamo di avere nel S. Croce una realtà di eccellenze di cui sono consapevole e di cui leggo complimenti e ringraziamenti pubblici da parte di pazienti e non. Ma sappiamo che queste eccellenze hanno bisogno del supporto trasfusionale. Possiamo dimostrare con i fatti che a questo Ospedale vogliamo bene? Possiamo provare a mettere dietro le spalle timori, se non paure, e leggende metropolitane che ruotano ancora attorno alla parola “sangue”, e metterci in gioco per qualcosa di veramente unico? Molti sono i farmaci “salvavita” prodotti dall’industria farmaceutica. Ma uno solo è il farmaco che non si fabbrica, ma si dona.. Cerchiamo di far arrivare questo sangue al cuore del nostro Santa Croce e Carle!
Riccardo Balbo
Direttore Immunoematologia e Medicina Trasfusionale
Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle Cuneo