Home Articoli Rivista Idea «Basta riservatezza siamo tra i migliori diciamolo al mondo»

«Basta riservatezza siamo tra i migliori diciamolo al mondo»

Il giornalista Mediaset Beppe Gandolfo sul valore della Granda: «Qui c’è il vero motore del Piemonte»

0
1

Siamo in pieno autunno ma la stagione ideale per descrivere Beppe Gandolfo in questo mo­mento è la primavera. Sì, perché il noto giornalista torinese – ma di origini cuneesi e, più precisamente, cortemiliesi – sta vi­vendo una nuova primavera. Una nuova primavera, sempre targata Mediaset, sbocciata peraltro nell’ambito di una carriera già particolarmente ricca e colorata, co­me dimostrano i tanti premi che gli sono stati attribuiti (l’ultimo in ordine di tempo è il premio giornalistico Franco Marchiaro, ad Alessandria). Una nuova primavera che porta il nome di “Studio Aperto Mag”, il programma in onda ogni sera, alle 19, su Italia 1, che racconta le migliori eccellenze del Bel Paese.

Gandolfo, dai servizi di cronaca per il tg ai reportage per il magazine di “Studio Aperto”. Come mai?
«Ogni tragedia che negli anni ho dovuto documentare – penso alle alluvioni, agli omicidi di Novi Ligure e Cogne, alle vittime in Thyssen – ha lasciato un segno dentro di me. Il drammatico incidente del Mottarone – del maggio 2021 -, se possibile, mi ha colpito ancora di più, spingendomi a chiudere con i servizi di cronaca per il telegiornale».

Com’è arrivata la nuova opportunità?
«Proprio in quel periodo stava per essere lanciato “Studio Aperto Mag”, che si proponeva di approfondire le peculiarità del nostro Paese. Allora io, che desideravo occuparmi esclusivamente di cose belle, mi sono proposto alla redazione e ora… eccomi qua a raccontare le migliori qualità di Piemonte e Valle d’Aosta».

In questo primo anno ha dato molto spazio alla sua provincia d’origine, la Granda.
«Non l’ho fatto solo per ragioni affettive: la provincia di Cuneo è una miniera inesauribile di eccellenze, a partire dall’enogastronomia. Non a caso uno dei miei primi reportage ha avuto per protagonista il comune di Barolo, scelto nel 2021 come “città italiana del vino”. Da allora non mi sono più fermato: tartufi, nocciole, formaggi, dolci, ristoranti ultracentenari, osterie, locali tipici, presìdi Slow Food e tanto altro ancora».

Non solo nel campo dell’enogastronomia, vero?
«Oltre alle “bellezze” enogastronomiche, racconto quelle naturalistiche, come la linea ferroviaria “Cuneo-Venti­mi­glia”, eletta lo scorso anno “luogo del cuore Fai”. Oppure i castelli di Lagnasco, i parchi, le borgate resilienti o, ancora, le tante storie u­mane cuneesi, dalla coppia di giovani che dopo aver girato il mondo intero ha scelto di fermarsi a vivere in una baita dispersa a un ingegnere che, nonostante la specializzazione, si dedica esclusivamente all’arte della panificazione».

Come descriverebbe la provincia di Cuneo a chi ancora non la conosce?
«È un territorio abitato da gente dotata di inventiva, tenacia e forza di volontà fuori dal comune. Queste persone hanno realizzato prodotti o realtà imprenditoriali che, per il loro grado di innovazione, rappresentano delle eccellenze a livello planetario. Qui c’è una ricchezza – e non mi riferisco all’aspetto economico – incredibile. Una ricchezza che balza all’occhio in ogni fiera o manifestazione. La Gran­da è un caso di studio e non esagero: basti pensare che queste terre, solo una sessantina di anni fa, erano nella difficoltà più assoluta, mentre oggi sono all’avanguardia in ogni settore, da quello industriale a quello editoriale: lo dimostrano la stessa Rivista IDEA, i giornali diocesani e altri periodici locali. Tutto questo per dire che se per molto tempo il cuore pulsante del Piemonte è stata Torino con la Fiat, oggi gli scenari sono cambiati e il vero motore della nostra regione è la provincia di Cuneo».

Cosa occorre fare per non dissipare questo patrimonio?
«Dal mio punto di vista, noi cuneesi dobbiamo migliorare ancora sul fronte della comunicazione e della valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze. Siamo bravi a inventare, a realizzare e a produrre, ma un po’ meno a raccontarlo, a farlo sapere in giro. L’Albese è molto più avanti rispetto ad altre zone della Granda, però, in generale, mi capita ancora troppo spesso di imbattermi in im­prenditori o produttori che, pur rappresentando delle realtà d’ec­cellenza, preferiscono non parlare davanti alle telecamere. È un grosso peccato, anche perché poi quegli spazi vengono presi da realtà di altre parti d’Italia che non sempre lo meriterebbero».

Il suo consiglio, quindi?
«Usciamo dal guscio della riservatezza, abbandoniamo la ritrosia e lanciamoci mo­strando al mondo cosa noi della Granda siamo in grado di realizzare. Facciamolo senza preoccupazioni perché siamo davvero tra i migliori».